Tra le trasformazioni operate dalla pandemia, c’è l’aver cambiato le abitudini di acquisto degli americani. Mentre il commercio online è sempre più florido, nell’ultimo anno negli Stati uniti hanno chiuso i battenti circa 1.150 centri commerciali, un processo di declino già in atto, ma che ha subito una brusca accelerazione.

Se è vero che uno degli effetti che la pandemia ha avuto sulla società è stato quello di velocizzare processi che avrebbero avuto bisogno di qualche anno per radicarsi, come la diffusione del lavoro da remoto o la tele medicina, di certo ha calcato la mano sul declino delle cattedrali del consumo, un simbolo degli Stati uniti quanto il 4 luglio e gli hamburger.

Mentre i centri commerciali, i cosiddetti Mall, più famosi del Paese stanno ricominciando, anche se faticosamente, a registrare numeri positivi in termini di introiti e di occupazione, molti altri sono alle prese con postazioni vacanti, meno visitatori e futuro incerto.

La società di analisi immobiliare Green Street ha stimato che nei mille centri commerciali americani di cui tiene traccia ci sono circa 750 postazioni libere, vasti spazi che un tempo ospitavano catene come Sears, Nordstrom e Macy’s. Ma questa è solo una frazione dei grandi numeri: secondo CoStar Group, società che analizza e fornisce dati per il settore immobiliare, nel 2020 più di 12.000 negozi hanno annunciato la chiusura.

Se per chi vive nelle grandi città la chiusura di un Mall non ha alcun effetto, la difficile situazione dei centri commerciali diventa significativa per le comunità americane di provincia, costruite senza piazze, senza spazi aggreganti, dove questa funzione viene espletata dai Mall.

Molti americani hanno una profonda nostalgia per il centro commerciale locale che era spesso un luogo di socializzazione, un punto di riferimento per gli acquisti o il luogo dove si era trovato il primo lavoro. Un sito internet dedicato alla sottocultura Usa, deadmall.com, dal 2000 commemora i centri commerciali definitivamente chiusi.

Un articolo che la scrittrice Kate Folk aveva scritto per il New York Times nel 2018, si apriva così: «Quando ero giovane davo per scontati i centri commerciali. Sembravano parte dell’infrastruttura della nazione tanto quanto le autostrade e i sistemi fognari. In quale altro luogo caricare quantità incalcolabili di Orange Julius e rimuginare su jeans a vita bassa nei camerini dei grandi magazzini? La mia casa, Iowa City, ne aveva due, ognuno fiorente. Sarei rimasta ferita nel sentire che in pochi decenni il concetto stesso di centro commerciale si sarebbe trovato in pericolo esistenziale. Nessun’altra categoria di luoghi abbandonati offre lo spettacolo della rovina moderna su una scala così orribile: le cicatrici dei loghi familiari sulle vetrine dei negozi, le fioriere essiccate, il volume puro del vuoto e dei rifiuti. Nessun altro edificio mostra il capriccio del desiderio umano con un rigore così brutale: un edificio un tempo amato che, nel giro di pochi anni, è diventato così inutile che nessuno si preoccupa nemmeno di abbatterlo».

Molti Mall ora sono in uno strano limbo: hanno perso la loro funzione originaria e sono in cerca di ricollocazione. Mentre a New York ci si vaccinava al museo di storia naturale o nella Grand Central Station, si sono viste immagini di persone in zone meno metropolitane vaccinarsi nelle sedi vuote di Sears o J.C. Penney. Un ex Macy’s in Vermont, invece, è stato trasformato in una scuola superiore; altri centri commerciali vengono venduti all’asta e trasformati in uffici. Deborah Weinswig, amministratrice delegata di Coresight Research, società di consulenza e ricerca globale, parla di «Dark Mall», centri commerciali oscuri, che esistono esclusivamente per evadere ordini online.

Chi in questi templi del consumo e della società Usa ci è cresciuto, ricorda l’aura di cui un tempo erano impregnati questi spazi, ma in un centro commerciale morto l’aura viene risucchiata, sensazione che sembra evidente anche agli occhi di un europeo che fa una ricerca su YouTube per vedere questi luoghi in declino.

YouTube è una fonte potenzialmente infinita di video di Mall in decadenza, alcuni ancora aperti ma per i quali è evidente che la fine è vicina, l’equivalente commerciale di una nave che affonda; altri sono già chiusi e abbandonati, rovine intatte come in una versione made in Usa di Pompei, con i manichini spogliati e le panchine al loro posto, le insegne con i font che in quell’epoca erano di moda e che ora non compaiono più in nessuna insegna.

Brian Ulrich, fotografo statunitense noto per la sua esplorazione fotografica della cultura del consumo, ha scritto: «Ogni video-tour di un centro commerciale abbandonato è un’occasione per contemplare il relitto del nostro io passato».