Forse la frase più indicativa di questo libro di Adriano Sofri è quella pubblicata alle pagine 216-217: racconta «lo stupore manifestato da Giulio Andreotti quando venne a sapere dal collega senatore goriziano Darko Bratina che Caporetto si chiama Kobarid e si trova in Slovenia». Di lì si capisce anche come da noi non si sappia quasi niente della Slovenia, della sua storia, delle sue tragedie: è stato uno dei paesi o forse il paese dove l’Italia, e non è detto solo quella fascista, è intervenuta in maniera più feroce, drammatica e razzista. E Sofri, nato a Trieste e con tantissimi anni alle spalle di vita attenta e anche un po’ trasversale in Croazia e Slovenia, lo sa e lo scrive in maniera stupefacente in questa ricostruzione dei drammi di cui parla il suo libro: Il martire fascista Una storia equivoca e terribile (Sellerio «La memoria», pp. 240, e 15,00).
Le vicende riguardano un maestro elementare siciliano, Francesco Sottosanti, ucciso da una fucilata in un paesino sloveno (ma allora italiano), Vrhpolje, Verpogliano, frazione di Vipacco, Vipava, vicino a Gorizia, il 4 ottobre 1930. Per ricostruire tutta la storia complicata che precede e segue questo omicidio, Sofri ha compiuto un giro lunghissimo attraverso l’Italia e l’Europa: è andato in Sicilia, da dove proveniva il maestro con la sua famiglia, e in particolare a Piazza Armerina, Enna, Caltagirone. A Parigi, dove gli sloveni antifascisti cercavano rapporti con gli antifascisti italiani (Rosselli compresi). E poi in Istria, Croazia, Slovenia, nelle loro biblioteche, in archivi dappertutto; poi a incontrare testimoni rimasti, figli, parenti e anche solo chi, per tanti motivi, si è appassionato alla storia di quel paese. Ci si è appassionati là, bisogna dire, molto meno qua, in Italia. Posso aggiungere che all’Archivio Centrale dello Stato sono stato di persona testimone di quale serietà e cura attenta Sofri adoperi nel cercare e usare i documenti che cita e provengono dai processi del Tribunale Speciale, dalle relazioni dei commissari di polizia, dagli informatori.
La storia in linea generale è ormai nota, ma vale la pena riepilogarla: il maestro fu ucciso da due giovani militanti del Tigr, gruppo antifascista sloveno, che però sbagliarono obiettivo. Qualche tempo prima, infatti, era stato il fratello di Francesco, Ugo, anche lui fascistissimo ma violento, a maltrattare alcuni giovani allievi del posto che non sapevano parlare bene l’italiano. Addirittura Ugo sputava loro in bocca quando sbagliavano, lui che per di più era malato di Tbc. Sofri ricostruisce con grande attenzione tutta la vicenda. Anzi, tutte le vicende, perché a quella principale se ne collegano altre: c’entra infatti anche la Sicilia, che è stata la terra di chi emigrava in Slovenia pensando di trovare un mondo povero ma comodo per insegnarvi l’italiano; siciliani pure i due Sturzo, entrambi sacerdoti, l’uno il celebre Luigi, da tempo finito in esilio; l’altro Mario, il fratello – anche qui due fratelli, come Ugo e Francesco – e vescovo proprio a Piazza Armerina, la città dei Sottosanti, un luogo però per lui aspro e che lo metteva in difficoltà.
E poi ci sono i rapporti complicati degli antifascisti italiani a Parigi con gli slavi, quello del gruppo dei fratelli Rosselli non troppo favorevole, e quello comunista, che qui appare del tutto assente. E poi i ricordi travolti delle tante persone coinvolte in questa storia durissima, piena di falsi e di bugie, e talvolta di incredibili svolgimenti: come quella riguardante il fratello scampato all’assassinio, Ugo, che nel 1937 a Piazza Armerina diresse davanti a Mussolini una manifestazione ginnica di bambini – ovviamente siciliani: dalla Slovenia era stato allontanato dagli stessi italiani. E venne anche ripreso. La foto è nel libro, piccolissima, mentre Sofri non ha voluto evidentemente inserire quella presente sulla sua tomba (morì nel 1952, a 46 anni), e dove – a sette anni dalla guerra – fu rappresentato con un ovale «in divisa della Milizia».
Storie terribili, e perfino non finite lì. Perché un altro Sottosanti, uno dei figli di Francesco, Nino, si cacciò drammaticamente, e in maniera in apparenza assurda, anche nella storia di Piazza Fontana: che Sofri conosce bene, naturalmente, e a Nino Sottosanti ha già accennato due volte nel passato. Forse, ipotizza oggi, Nino Sottosanti era anche un confidente pagato dagli Affari Riservati e magari proprio per questo poteva essere finito dentro il caso di Piazza Fontana, un po’ come supposto sosia di Valpreda, un po’ perché legato a Pinelli.
Non si può che rimanere affascinati da ricostruzioni del genere, che finiscono per diventare anche modelli storiografici e letterari: per fare un altro esempio, si pensi solo a un altro titolo Sellerio, il romanzo di Camilleri del 2005, Privo di titolo, che è ugualmente un caso autentico di «martire fascista», ma ucciso dai suoi camerati. Questo di Adriano Sofri, invece, non è un romanzo: è un libro che unisce giornalismo, ricerca documentaria dettagliata, cronaca storica (ricordo solo due pagine mozzafiato, con foto, su Toscanini), riflessione identitaria. A chi va sostenendo che per ricostruire la vera storia è meglio la letteratura, magari non troppo precisa e un po’ fasulla, si può rispondere che qui abbiamo un bell’esempio del contrario, buono anche per il futuro.