Francesco Forciniti è uno dei tredici deputati del Movimento 5 Stelle che l’altro ieri ha votato contro la risoluzione di maggioranza che ha impegnato conte ad andare a trattare sulla riforma del Mes al consiglio europeo. Non teme sanzioni, si considera ancora fedele al programma del M5S e alla maggioranza che sostiene questo esecutivo.
«Ci sono logiche di governo che rispetto e in parte comprendo, ma ho dovuto rispondere a quello che sentivo giusto», dice Forciniti al manifesto. Ma auspica più coraggio da parte dei suoi colleghi: «In una repubblica parlamentare si devono accettare i compromessi ma bisogna anche avere l’ambizione di cambiare gli equilibri. L’alternativa all’accettazione dello status quo non è il fondamentalismo dei sovranisti: bisognerebbe assumere una posizione terza, anch’essa seria e responsabile e alternativa al neoliberismo. Non credo che fino a questo momento l’abbiamo fatto fino in fondo».
Le posizioni di chi non ha seguito le indicazioni dei vertici non sono uniformi. Se Forciniti rivendica coerenza e ritiene di poter restare a pieno titolo nel gruppo del M5S, i suoi colleghi Fabio Berardini, Carlo De Girolamo, Mara Lapia e Antonio Lombardo sono molto più duri. Dicono che il voto sul Mes è stato solo «l’ultimo tradimento» dei parlamentari 5 Stelle rispetto agli impegni presi e in base ai quali sono diventati la prima forza politica del parlamento. I quattro escono dal M5S, traslocano nel gruppo misto ma restano nel perimetro della maggioranza parlamentare. «Il governo Conte continuerà ad avere il mio appoggio – assicura Lombardo – che ovviamente sarà misurato e valutato provvedimento per provvedimento. Mi piacerebbe costituire una componente ecologista e progressista». «Noi deputati che sul Mes abbiamo votato coerentemente con il nostro programma elettorale siamo stati minacciati di espulsione ed emarginati. Il clima è diventato talmente tossico che non mi riconosco più in questa forza politica», denuncia Berardini.
Con loro quattro, e bisognerà vedere se scatteranno le espulsioni, i parlamentari grillini che da inizio legislatura hanno lasciato il M5S in tutto 47 su 315. Ieri hanno aderito al gruppo del Pd i deputati pugliesi Paolo Lattanzio e Michele Nitti, che se ne erano andati ormai da diversi mesi (il primo perché contrario al fatto che il M5S corresse da solo alle regionali di settembre, il secondo espulso per mancati rimborsi).
Se tra i cosiddetti «dissidenti» non c’è un disegno comune e neppure una forma blanda di coordinamento, il sospetto che la questione del Mes sia stata usata dai vertici del M5S come stress test per mettere a verifica e scremare la variegata compagine parlamentare grillina rimane e anzi si rafforza sempre più. Oggi si saprà l’esito del voto su Rousseau sui 23 punti in cui è stato spacchettato il documento di sintesi degli Stati generali. Paola Taverna a Repubblica dice chiaramente che per i 5 Stelle «comincia una storia nuova».
Di fronte alla quale si moltiplicano le iniziative personali. Luigi Di Maio inaugura le assemblee virtuali annunciate nei giorni scorsi «agorà digitali, delle video-conferenze in cui voi mi fate le domande e vi rispondo». Si comincia sabato dalla Campania, con la partecipazione del ministro dell’ambiente Sergio Costa e del sottosegretario agli interni Carlo Sibilia. Davide Casaleggio, dal canto suo, ha lanciato il tour, anch’esso virtuale «La base incontra Rousseau». «Sarà un modo ancora più diretto e inclusivo per confrontarsi, ascoltare e coinvolgere la base», spiegano dalla piattaforma. Gli eletti raccolgono con l’ormai consueta freddezza.