Davide Casaleggio stacca la spina e Alessandro Di Battista attacca i vertici. Nel giro di due giorni viene sferrato un uno-due potenzialmente micidiale all’identità del Movimento 5 Stelle. Prima arriva il colpo dell’ex deputato, che nel corso di un’intervista andata in onda giovedì sera su La7 ha esplicitato il rischio che il M5S, a furia di parlare di alleanze col Pd e non di contenuti, diventi «come l’Udeur», vale a dire un partito che accetta di ridimensionarsi ma che si posizione per diventare l’ago della bilancia degli equilibri politici pur di rimanere al governo.

Il giorno successivo, e siamo a ieri pomeriggio, un comunicato a firma dell’Associazione Rousseau annuncia che la piattaforma del M5S smetterà di fornire alcuni servizi, visto che «in assenza delle entrate previste non risultano più sostenibili». Restano la funzioni per la quale il «sistema operativo grillino» Rousseau è più noto, e adoperato, cioè le consultazioni online, viene spento l’interruttore su altri settori come lo «scudo legale» per gli eletti. Si serrano le porte di alcune stanze virtuali che in verità non sono mai state affollatissime, come lo scambio di esperienze amministrative tra gli eletti nei comuni e le scuole di formazione. Ma è un dato di fatto che il mito fondativo dei MeetUp, i forum spontanei dai quali germogliò il M5S, non abbia mai rivissuto in Rousseau.

Risale sempre ieri, in mattinata, l’ultimo schiaffo dei parlamentari grillini a Davide Casaleggio: circola una bozza del nuovo statuto del gruppo dei 5 Stelle alla camera che evita accuratamente di menzionare Rousseau come strumento di comunicazione e deliberazione: «Il gruppo – si legge nel testo predisposto dai deputati – individua come strumenti ufficiali per la divulgazione delle informazioni i canali del Movimento 5 Stelle e altri che riterrà di adottare con propria delibera assembleare con maggioranza assoluta». La stessa scelta qualche settimana fa era stata fatta dal gruppo del M5S al senato. Nelle stesse ore, peraltro, il collegio dei probiviri aveva deciso, pare seguendo il suggerimento del reggente Vito Crimi, di evitare di punire i parlamentari che risultano morosi sulle quote mensili da versare a Rousseau e di sospendere il giudizio su quelli che avevano invitato a votare no al referendum sulla riforma costituzionale del taglio dei parlamentari. Una linea morbida per non aggiungere ulteriori tensioni al processo di ristrutturazione interna del Movimento 5 Stelle.

Si registrano commenti sarcastici di parlamentari grillini circa gli effetti concreti della serrata decisa da Davide Casaleggio e piovono dichiarazioni critiche verso il giudizio sprezzante di Di Battista, visto come un ingrato che critica da fuori e senza sporcarsi le mani per ambizioni personali (Di Maio commenta senza citarlo invitando a non «guardare indietro»). Pare davvero difficile che l’ex deputato abbia le forze per arrivare ad una scissione vera e propria. Tuttavia il nodo che attraversa la discussione caotica interna al Movimento 5 Stelle è quello abbastanza classico che riguarda il «chi decide». Per capirlo, in mezzo alle risposte a Di Battista, si fa prima ad ascoltare le parole del parlamentare europeo Ignazio Corrao, uno dei pochi a schierarsi dalla sua parte. «Nessuno di noi dieci anni fa sarebbe entrato in un partito in cui le decisioni più importanti, per il movimento e di conseguenza per il governo e per il paese, vengono prese in segreto da Di Maio, Fico, Bonafede o Spadafora (che è passato, per la cronaca, proprio dall’Udeur, poi Margherita, poi Verdi, poi Forza Italia e infine ha raggiunto la agognata gloria politica nel M5S ultima versione, per volontà di Di Maio che se lo è preso assistente, lo ha fatto deputato, sottosegretario e poi ministro)», dice Corrao.

La stragrande maggioranza degli eletti intende cercare nuove forme di organizzazione che bypassino il tecnoverticismo di Rousseau. È altrettanto certo che al momento lo statuto del M5S impone che dalla strettoia delle votazioni online sulla piattaforma si passi per radunare gli iscritti e fare prendere loro una decisione. Su questa contraddizione probabilmente fa affidamento Casaleggio quando forza la mano per cercare di arrivare ad un compromesso onorevole che non lo metta completamente fuori dai giochi.