Mentre Syriza raccoglie consensi in Grecia e Podemos in Spagna, in Italia si stenta a far nascere una forza politica di sinistra come reale e forte alternativa al renzismo. Ci sta provando generosamente “l’Altra Europa con Tsipras”, insieme alle altre forze della sinistra (Prc e Sel) e ai rappresentanti di movimenti sociali, ma l’obiettivo sembra essere molto lontano.

Nel paese che ha avuto il più grande partito comunista occidentale è oggi difficile costruire una forza di sinistra, e finora i tentativi hanno prodotto magri risultati.

Il 4 per cento raggiunto alle elezioni europee lo scorso anno è stato un risultato importante, ma non adeguato alle forze impegnate, né alla qualità dei candidati, tutti con una storia riconosciuta di impegno civile, culturale e sociale. Un risultato vanificato dalle elezioni in Emilia Romagna e Calabria (anche per l’uscita di Sel) e che rischia di essere poco significativo alle prossime elezioni regionali di giugno.

Dal 2008, la profonda crisi economica e sociale ha prodotto e sta producendo in tutti paesi più colpiti ed indebitati grandi cambiamenti politici. Senza la durezza di questa crisi non avremmo avuto il successo di Syriza, né delle altre forze politiche di sinistra o “alternative” che stanno crescendo in diversi paesi europei. Ed in Italia perché no?

Innanzitutto, perché la lunga metamorfosi dell ‘ex partito comunista italiano (Pds, Ds, Pd) ha goduto di una rendita storica e di una cultura che era molto forte tra i suoi elettori e militanti: l’ unità. Questa è stata la forza culturale che ha permesso al Pci di attraversare momenti difficili della sua vita e ha consentito ai suoi dirigenti di far digerire, con qualche mal di pancia, la progressiva deriva neoliberista. Ma, soprattutto, perché allo scoppio della crisi è nato un movimento politico inedito, il M5Stelle.

Questa inedita soggettività politica ha raccolto il malcontento presente in ampie fasce della popolazione italiana e nella ribellione alla “casta” ha fondato la sua immagine. Arrivato ad essere il primo partito italiano nelle elezioni politiche del 2013, il M5S malgrado gli errori commessi, malgrado la diaspora interna e malgrado Grillo e il suo autoritarismo insopportabile, è ancora oggi accreditato dagli ultimi sondaggi al 17-18 per cento dei voti potenziali. Un dato incredibile, inaspettato, segno evidente che c’è un radicamento politico da non sottovalutare.

Si può dire che è un movimento politico né di destra, né di sinistra, ma così si definisce anche Podemos (vedi l’ultimo numero di Le Monde Diplomatique), che come il M5S nasce come ribellione e contestazione della “casta” politica e finanziaria. Ma è un fatto che il M5S ha canalizzato la rabbia sociale, cosa che non è riuscita a fare la nostra sinistra radicale, che non ha colto l’occasione storica dello scollamento tra partiti storici e società, anzi che è apparsa essa stessa come parte della vecchia “casta” politica.

Il fenomeno Grillo, analizzato con intelligenza da Giuliano Santoro nel suo “Un grillo qualunque” che ha smascherato il mito della rete e la falsa democrazia diretta, è una cosa diversa dal popolo che ha votato per il M5S. Questa forza politica ha condiviso e condivide molte battaglie ambientaliste, ha condotto alcune battaglie contro la corsa agli armamenti e fatto proposte in Parlamento più che condivisibili, sta amministrando con onestà e impegno diversi enti locali (da Parma a Ragusa), naturalmente pagando il pegno dell’inesperienza e subendo alcune volte i diktat del duo Casaleggio-Grillo. Ma, è sempre il M5S che ha promosso nei giorni scorsi a Livorno una chiamata alle armi dei sindaci perché oggi i Comuni non si possono più amministrare.

Il governo Renzi continua a tagliare le risorse per gli enti locali e li costringe ad aumentare le imposte locali, mentre ha il coraggio di dire che «questo è il primo governo che taglia le tasse». Ma, chi si ribella ? L’Anci, presieduta dal sindaco Fassino, prova ogni tanto ad alzare la voce, ma senza disturbare il manovratore che fa parte dello stesso partito. Ci vorrebbe un movimento autonomo di sindaci che facesse rete e si unisse per costringere il governo a cambiare registro, provando a ribellarsi ai diktat della Corte dei Conti che rispetto agli enti locali gioca un ruolo non diverso da quello della troika con i paesi del sud-Europa. Una grande forza sindacale come la Cgil ha provato ad opporsi al Jobs act ma il governo è andato avanti lo stesso.

E allora, come se ne esce ?

A mio modesto avviso, bisogna fare i conti con il M5S , a partire dal basso, dagli enti locali dove sono presenti, ma anche con le rappresentanze politiche nelle Regioni e nel Parlamento. Credo che il declino politico di Grillo, la sua uscita di scena, sia inevitabile, ed è lui stesso a pensarci da tempo. Per un attore di successo non è facile, ma è inevitabile. La questione vera è capire se il M5S sopravviverà al suo fondatore, e cosa faranno quei nove milioni di elettori che ci hanno creduto due anni fa. L’astensione elettorale sembra in questo momento la risposta più facile, ma dipenderà dalla credibilità di una alternativa al governo Renzi che si andrà a costruire.