Il Movimento 5 Stelle accoglie l’ascesa alla segreteria del Partito democratico di Enrico Letta ancora privo di un leader formale, in una fase di transizione che costringe a guardare con un occhio alla contingenza della tattica quotidiana e con l’altro all’orizzonte ecologista che Beppe Grillo non si stanca di predicare ogni volta che sente i suoi o stabilisce le linee guida della comunicazione verso l’esterno.

CIÒ IMPLICA che questo cambiamento sostanziale viene vissuto in maniera diversa, a seconda delle prospettiva. Nel breve periodo Giuseppe Conte ha ancora bisogno di un paio di settimane per sciogliere definitivamente la riserva e presentare la sua proposta ma nel frattempo cambia il vertice del partner principale dell’«alleanza strutturale» di cui l’ex presidente del consiglio avrebbe dovuto essere il federatore. Fuori Nicola Zingaretti, che a Conte riconosceva il ruolo di leader della coalizione, dentro Letta un altro ex premier. I grillini sanno che poteva andare peggio ma avvertono che qualcosa è destinato a cambiare. Sono fiduciosi perché Letta garantisce che la linea di Zingaretti proseguirà, ma sanno che adesso ci sarà una differenza sostanziale: non è più scontato che Conte sarà il leader della coalizione e non si dà più per assodato che in caso di vittoria sarà ancora lui a fare il presidente del consiglio.

QUESTO VUOL DIRE Letta quando assicura che manterrà i rapporti con i 5 Stelle ma garantendo che il Pd non venga percepito in una posizione di sudditanza. Questa doppia condizione, di fedeltà ai patti e competizione sul premier traspare anche dalle parole che circolano in questi giorni, anche tra quelli che più spingevano per la collocazione del M5S nel campo del centrosinistra. «L’alleanza con Pd e Leu è l’unica piattaforma politica che può agire contro le diseguaglianze, e guardare al protagonismo dei giovani per una giustizia climatica – dice ad esempio il deputato Luigi Gallo – Con loro abbiamo un debito e anche se Letta è di un’altra generazione dovrebbe avere come me a cuore i 700 mila minori con cui abbiamo un debito che possiamo saldare con una ‘Dote educativa’ da agganciare al reddito di cittadinanza. Noi guardiamo al 2050, anche se Letta credo che sarà più impegnato a difendersi dalla guerra interna nel Pd». Roberta Lombardi, esponente storica del M5S e neo-assessora a transizione ecologica e trasformazione digitale della Regione Lazio premette: «Non amo concentrarmi sui nomi, a maggior ragione in questo caso specifico in cui ci riferiamo al perimetro di competenza di un’altra forza politica». Poi auspica che «il nuovo segretario del Pd guardi al futuro, abbia una visione della propria forza politica al servizio del paese e non volta a soddisfare le istanze degli esponenti delle varie correnti interne».

C’È APPUNTO l’orizzonte del 2050. È un brand attorno alla quale tutto il M5S sta incentrando la sua comunicazione, che in questi giorni viene ripensata a partire dalla scelta di apparire di meno in televisione (è da almeno una settimana che nessun big grillino partecipa a un talkshow). Il 2050 finirà nel simbolo del nuovo Movimento. Addirittura, se le cose con Davide Casaleggio dovessero precipitare o la convenienza legale dovesse richiederlo diventerebbe il nuovo nome del soggetto politico guidato da Conte, con il nome dell’ex presidente del consiglio sul simbolo a suffragare la vocazione maggioritaria della nuova formazione. Il marchio 2050 sta a indicare un partito che punta tutto sulla transizione ecologica. Se osserviamo la missione che Grillo si è intestato e che ha assegnato al M5S di Conte, non è affatto detto che Enrico Letta non abbia carte da giocare nei confronti del co-fondatore. Il possibile link tra i due si chiama Enrico Giovannini. Colui il quale fu ministro del lavoro nel governo Letta, oggi al timone del ministero delle infrastrutture e dei trasporti gestisce un pezzo importante della transizione ecologica. In molti dentro il M5S lo considerano il vero esperto in materia. E i suoi rapporti pregressi con il nuovo segretario del Pd potrebbero favorire il dialogo e l’intesa con Grillo. In nome del 2050.