Al momento nessuno ha ancora pensato di inserirla nel testo di una eventuale mozione di sfiducia al sindaco Ignazio Marino, ma intanto la sentenza del Consiglio di Stato, che ha di fatto annullato le trascrizioni dei matrimoni gay celebrati all’estero nel registro delle unioni civili di Roma, è diventato l’ennesimo atto di accusa contro il primo cittadino dimissionario. E fa pendant con lo sbeffeggiamento di Papa Bergoglio.

Dalla pasionaria ultracattolica Paola Binetti al forzista Maurizio Gasparri passando per l’ultradestra di Fabio Rampelli (FdI) e di Roberta Angelilli (Ncd), è tutto un diluvio di «Marino (ri)dimettiti», fino alla promessa di presentare «un esposto alla Corte dei Conti affinché valuti ogni eventuale danno erariale a seguito delle spese affrontate dal Campidoglio per l’impiego improprio di risorse per le celebrazioni effettuate dal sindaco», come recita una nota della ex segretaria provinciale del Fronte della Gioventù e oggi coordinatrice Ncd del Lazio.

Ignazio Marino non commenta e tira dritto: «La mia è una giunta che lavora e che guarda avanti», ha detto tornando in periferia, dove ha inaugurato un viadotto insieme a Maurizio Pucci, assessore che come tutti gli altri (tranne Alessandra Cattoi, Estrella Marino e Giovanni Caudo) hanno già abbandonato il carro del perdente in casa Pd. Partito che, secondo l’ex assessore ai Trasporti Stefano Esposito (l’unico a disertare tutte le riunioni di giunta dal giorno delle dimissioni del sindaco), «ha avuto le palle a rinunciare a Marino».

«Ci accusavano di tenerlo in piedi perché non volevamo le elezioni, ora possiamo perdere», ha ammesso ai microfoni di Radio 24. Un problema facilmente risolvibile, per Esposito: «Il Pd dovrebbe proporre un uomo senza fare le primarie: è sbagliato delegare, le primarie non sono un must immodificabile».

In Campidoglio, invece, mentre si attende con trepidazione e anche un po’ di nervosismo la giunta convocata inaspettatamente dal sindaco per questa mattina, le schermaglie a distanza tra il M5S e il Pd fanno intravvedere il naufragio anche del piano B su cui il commissario Matteo Orfini puntava per neutralizzare l’eventuale ritiro delle dimissioni da parte di Marino entro la dead line di domenica 1° novembre.

Infatti, fino a ieri mattina i renziani romani speravano di trovare tra i grillini e nelle liste civiche sei consiglieri pronti ad unirsi alle dimissioni in blocco dei 19 del gruppo dem, in modo da raggiungere il numero magico di 25 necessario per sciogliere in ogni caso il Campidoglio. Poi, nel pomeriggio, a Roma è arrivato Gianroberto Casaleggio, ha incontrato tutti gli eletti a 5 Stelle, e prima di ripartire ha spiegato che sul da farsi «decideranno i consiglieri che sono espressione del movimento», perché «a prescindere da quello che deciderà Marino, è nostra intenzione vincere le elezioni». Tradotto: di regalare le nostre dimissioni al Pd per aiutarlo a tirarsi fuori dal pantano, non ci pensiamo neppure.

Piuttosto, dichiarano subito dopo i consiglieri grillini, i dem «votino la nostra mozione», se vogliono «mettere fine a questo circo». «L’ammutinamento del Pd verso Marino è la solita farsa – scrive il gruppo M5S – Dicono di essere pronti a sfiduciarlo ma come? C’è infatti una sola mozione di sfiducia depositata in assemblea capitolina: la nostra. E anche se il Pd ne presentasse una oggi questa non potrebbe essere votata, perché il regolamento prevede che tale atto non può essere discusso 10 giorni prima della sua presentazione o 30 giorni dopo».

Peccato però che la mozione di sfiducia depositata il 18 giugno scorso da soli quattro consiglieri M5S, oltre ad essere superata dagli eventi centrata com’era attorno allo “scandalo” scontrini, «non poteva essere esaminata – risponde la presidenza dell’Assemblea Capitolina – ed era da considerarsi irricevibile», perché non era stata «sottoscritta da almeno due quinti dei consiglieri», come da regolamento. «Irricevibile? – ribattono i grillini – Non lo sarebbe se venisse sottoscritta anche dal Pd».

A questo punto si potrebbe dire che le trattative sono in stallo. E si riapre l’offensiva: «Siamo la gente, uno vale uno, ma se c’è da dare la linea, altro che consultazioni online: Casaleggio detta e tutti sull’attenti #iosonoio e…», twitta Alessia Rotta, della segreteria nazionale del Pd. Aspettando, naturalmente, di avere la linea anche da Renzi.