Madre e figlio, corpo e mondo: Galleria del vento è la raccolta poetica di Luigi Cannillo, pubblicata da La Vita Felice (pp. 67, euro 12, con prefazione di Sebastiano Aglieco).
È la parola del figlio in lutto. Le sezioni che compongono il libro hanno titoli guida: L’ordine della madre, 12 segni, Il rovescio del corpo, Berliner. I versi si aprono a ventaglio dal punto centrale del corpo, verso i 12 segni dello Zodiaco e alcune visioni dalla città di Berlino. Ma l’impalcatura che sostiene questo libro sta nel titolo della prima sezione: l’ordine della madre. Ed è su questo punto che vale la pena soffermarsi.

Il titolo lo dice: è una galleria. Un tunnel. Da lì si passa per venire al mondo. A partire dai tragici greci fino alle più recenti lezioni della sfaccettata psicanalisi di stampo occidentale, il rapporto che segna la relazione di un uomo con il materno, resta enigmatico, misterioso. Meno tracciabile del rapporto che lega madre e figlia, meno corposo, il rapporto tra madre e figlio incarna senza continuità l’immenso mistero dell’altro da sé: il differente. Pochi poeti, pochi uomini, nella storia della letteratura si sono spinti a dichiarare, senza timore di sembrare bambini, il sentimento per la perdita della madre. Nel bene e nel male, pochi hanno lasciato parole per lei, ma alcuni l’hanno fatto.

Galleria del vento di Luigi Cannillo si apre con una citazione da Dove lei non è, il libro che Roland Barthes, inizia a scrivere su piccoli pezzi di carta cercando di dire ciò che il linguaggio non può dire : la scomparsa di chi ha maturato in sé la tua nascita. A partire da questa citazione, Luigi Cannillo ci immette in alcune questioni fondamentali come lo scoramento per la perdita definitiva del mangiare insieme. Nell’infantile mangiare insieme tutto matura, anche il nostro linguaggio: da un certo momento in poi, e per tutta la vita noi tutti, uomini e donne, attraverso la nostra bocca restituiremo la parola che ci nutrì. La restituiremo proprio a partire da là, da quella cavità orale in cui abbiamo conosciuto il cucchiaino. Sì, le poesie di Cannillo ci tengono vicine alla bocca, mostrano la porzione, le briciole, l’elica del cucchiaio immobile/ senza la mano padrona.
Dalla sua condizione di figlio in lutto Luigi Cannillo ci sorprende con un verso che immediatamente ci rimanda a quell’ ordine simbolico della madre, pensato e ripensato dalla filosofia della differenza e messo a fuoco negli scritti di Luisa Muraro.

Sì, questa testimonianza poetica di figlio in lutto ci dà da pensare. Ci dà molto da pensare. Come lì sospesi davanti all’armadio che prima era chiuso da due ante , è ora è spalancato al vento : «L’ordine della madre impronta/ forme e limiti, ogni creta e/ vetro in ogni armadio… è quel discorrere l’ordine ad animare la casa… L’origine, lo spazio si dispongono /nelle valigie, così l’universo / viaggia con noi, stabilito / nei nostri gesti e nel sonno». Madre e figlio. Sì, potrebbe essere la casa vista dal punto di vista di chi non la riordina, ma, ecco, quell’ordine un tempo mal tenuto in casa, all’improvviso riappare in poesia. In prefazione Sebastiano Aglieco, lo ricorda «L’origine, allora, quando si accomiata da noi, ancora rimane nella forma delle lettere del nome: madre, a riconoscere nello spazio del corpo, un ordine ben più vasto e imperscrutabile».

«Nel nome della madre/ completeremo il cerchio dell’esilio/ noi stessi madre tramandata/ nella consolazione». Ma c’è il problema del sentimento. Scrive Aglieco: le poesie di Cannillo sono tutte «concentrate intorno ai gesti postumi del figlio in lutto che improvvisamente deve ricostruire e capire: la morte della madre è tutto tranne che una questione sentimentale». Perché quel dolore è tutto tranne? Perché deve star fuori la questione sentimentale? Dopotutto l’ordine della madre è un ordine a modo suo: lei in genere sa dove vanno le cose, anche quelle rimaste in giro, fuori dal canestro. Fuori dal canestro generale. Fuori da quel canestro immenso, intrecciato, che da tempo immemorabile, sin dall’antica tradizione greca, latina, romana, sin dall’antica tradizione buddista, o pali, o cinese, o tibetana, in genere canone. In questo senso bello e occidentalmente illuminante appare il verso con cui Luigi Cannillo rivendica a suo modo la personale meraviglia del vedere: «Contemplo ad occhi spalancati quello che tu vedi ad occhi chiusi».