In Afghanistan è finita in un disastro ma gli americani, con l’aiuto della Turchia, continuano a «esportare democrazia», coprendo la loro vera politica estera e i danni collaterali. Biden ha annunciato che il capo dell’Isis Al-Hashimi al-Qurayshi è morto nel nord della Siria.

Al-Qurayshi si sarebbe fatto saltare in aria durante il raid. Il leader dell’Isis «non ha combattuto nonostante gli fosse stata offerta la possibilità di arrendersi». La bomba ha ucciso anche la moglie e i due figli. Biden ha definito il gesto un «disperato atto di codardia».

Delle due l’una: o Biden è assai confuso e pensa che qui noi siamo degli ingenui, oppure vuole inviare un segnale sulla crisi ucraina.. Sui social, ci informava ieri Michele Giorgio, girano foto dell’abitazione di Idlib del leader dell’Isis e quelle del suo corpo non dilaniato dall’esplosione e un foro di proiettile alla nuca.

Lo stile dell’operazione è quella che portò all’uccisione di Bin Laden in Pakistan e ai confini tra Siria e Turchia del primo capo dell’Isis, Al Baghdadi, un tempo rilasciato proprio dagli Usa dalle carceri irachene.

Sono più di 20 anni che gli americani ci prendono in giro, persino i nostri generali sono stufi: fanno la guerra in Afghanistan e poi lo riconsegnano ai talebani, continuano in Iraq nel 2003 e precipitano il Paese in un marasma infinito, uccidono Gheddafi nel 2011 e la Libia è ancora nel caos. Fanno finta di combattere l’Isis ma con i jihadisti puntavano ad abbattere Assad. Ora forse vorrebbero fare la guerra in Europa facendo leva sulla crisi Ucraina.

Nel suo libro Fuga da Kabul, lo stesso generale Giorgio Battisti, comandante in Afghanistan, Somalia, Bosnia e della forza di reazione rapida Nato, scrive: «Il ritiro della coalizione è stato deciso dal governo Usa e di conseguenza è stato subito dai Paesi dell’Alleanza Atlantica».

Questo disastro, continua, è stato «peggio di Saigon perché allora furono gli Usa i soli responsabili, ora lo è tutta la comunità internazionale: Nato, Onu, Ue». E adesso gli americani – conclude il generale – cercheranno una rivincita», nonostante come dice Mattarella, «non ci sia neppure il pretesto della competizione tra sistemi politici ed economici differenti».

L’operazione di Idlib si è svolta con l’aiuto della Turchia di Erdogan che controlla l’area dove si trovano d anni oltre 40mila jihadisti con le loro famiglie. Putin, intervenuto nel 2015 a fianco del regime di Assad, ha più volte chiesto alla Turchia di smobilitarli ma Erdogan si è sempre opposto.

I jihadisti gli servono per le sue guerre, anche quelle che fanno comodo a Washington: li usa contro i curdi ai confini della Siria, li ha utilizzati in Libia e probabilmente anche in Azerbaijan. Nel 2019, quando gli Usa si ritirarono dal nord della Siria, Trump era consapevole di lasciare i curdi al massacro di Ankara e dei suoi alleati tagliagole.

Il vero capo dei jihadisti oggi è Erdogan, non qualche arabo poco noto. E’ lui che li ospita e decide cosa farne. E ogni tanto serve la testa di uno di loro sul piatto della propaganda americana intorno alla «missione civilizzatrice» di Washington.

Ma se fosse stato per gli Usa l’Isis avrebbe conquistato Baghdad nel 2014 e pure Damasco: a fermare i jihadisti non furono gli americani ma i pasdaran iraniani, gli Hezbollah libanesi, le milizie sciite e, dal 2015, la Russia a salvare il disastro americano in Siria.

Gli Usa di Obama avevano di fatto abbandonato anche l’Iraq come poi è accaduto con l’Afghanistan. In Italia e in Europa si fa di tutto per oscurare la realtà nonostante gli spaventosi attentati jihadisti degli anni scorsi nel cuore del continente.

In realtà la Nato, finanziata all’80% dagli Usa, è uno strumento americano, non un’alleanza. Come disse Frank Zappa: «La politica in Usa è la sezione di intrattenimento dell’apparato militare-industriale», di cui la Nato è un appendice.

Il generale Austin, oggi capo del Pentagono, è una sorta di parodia del sistema: si inventò un esercito anti-Isis da migliaia di uomini e dopo avere speso miliardi si scoprì che erano poche dozzine. Oggi anche lui si porta a casa la testa di un jihadista dell’Isis, come al poligono di un lugubre luna park.

La parabola di Qurayshi è emblematica dell’ambiguità americana. Ha vissuto alcuni anni tranquillamente in Turchia – membro Nato dagli anni Cinquanta – dove reclutava i jihadisti che affluivano dal mondo arabo. In un’intervista in carcere l’«ambasciatore» del Califfato in Turchia, Abu Mansour al Maghrabi, ha testimoniato che si incontrava direttamente con il Mit, i servizi militari turchi, e che Ankara proteggeva le retrovie dell’Isis per 300 chilometri ai confini con Siria e Iraq.

Gli Stati uniti conoscevano perfettamente la situazione perché l’allora segretario di Stato Usa Hillary Clinton incoraggiava Erdogan a usare i jihadisti contro Damasco.

Oggi la Siria rimane sotto sanzioni, nessuna ambasciata occidentale è aperta tranne quella del Vaticano e il Paese resta occupato da truppe turche, americane e israeliane. Un pezzo di Nato, un pezzo di Patto d’Abramo, un pezzo di Russia, una fettina ai curdi e una anche ai jihadisti di Idlib: così si divide tristemente la torta siriana.