Quando sentiamo parlare di lobbying pensiamo subito a qualcosa di negativo, alla forte pressione che fanno le multinazionali sulle istituzioni per ottenere favori. C’è, però, un gruppo che può essere più forte delle multinazionali, e che può indirizzare le attività delle aziende alimentari. Questo gruppo siamo noi consumatori, o meglio noi cittadini che acquistiamo. Al contrario dei produttori, che da sempre fanno fronte comune per imporre strategie di vendita per indirizzare le scelte dei consumatori, gli acquirenti ben di rado (pensiamo alla presa di posizione sull’olio di palma) mettono in atto strumenti analoghi. Dobbiamo metterci in testa che siamo noi che scegliamo tutti i giorni quando andiamo a fare la spesa. Un gesto inconsapevolmente referendario, perché diciamo sì o no a uno stile di produzione, di distribuzione, di sfruttamento della terra. Quindi un gesto che non può essere guidato solo dal 3×2. Un momento della nostra quotidianità che merita più attenzione perché troppe sono le ricadute, sia per il presente sia per il futuro. Sei tu che scegli e non il prodotto (quindi l’industria o la catena di distribuzione). Nell’Enciclica Caritas in veritate (giugno 2009) Benedetto XVI (chiamato da qualcuno pastore tedesco (!)) parla, addirittura, di responsabilità sociale del consumatore: «La interconnessione mondiale ha fatto emergere un nuovo potere politico, quello dei consumatori È bene che le persone si rendano conto che acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico. C’è dunque una precisa responsabilità sociale del consumatore Un più incisivo ruolo dei consumatori è auspicabile come fattore di democrazia economica». Inoltre sollecita la necessità di un consumatore informato ed educato e suggerisce anche forme di acquisto alternative come i Gas. Ma soprattutto auspica il passaggio dalla società dei consumi alla società dei consumatori, nella quale questi ultimi hanno il potere, se lo vogliono, di dirigere la produzione.

Diventiamo consumatori consapevoli, protagonisti delle nostre scelte e non elementi passivi di un sistema che ha come scopo principale il profitto e la conquista di nuove quote di mercato. E non importa se questo avviene a scapito della biodiversità o del cambiamento del clima o dell’impoverimento della terra, quando non addirittura della legalità e dei diritti. Dobbiamo avere la forza di dire no, e di non comperare prodotti che distruggono l’ambiente e non rispettano i lavoratori. Bisogna avere la forza di chiedere un’etichetta trasparente (o narrante come la chiamiamo noi di Slow Food) che ci racconti veramente tutto, anche quanto viene pagato il produttore. I percorsi virtuosi sono in grado di modificare anche gli assetti più consolidati. Bisogna volerlo.