La moda attraversa sempre dei periodi che la cambiano più nel suo metodo che nella sua forma. Oggi che i cambiamenti epocali, come quello degli Anni 60 con la nascita del prêt-à-porter, forse non sono più possibili, né sono possibili le rivoluzioni stilistiche degli anni 70 e 80 per l’aridità che ha colpito la capacità di immaginazione, e non solo nella moda ma nella società, si deve fare attenzione a quei piccoli segnali che quasi mai riescono a diventare segni di studi semiotici, come è capitato di fare a Roland Barthes (Système de la mode, Seuil, 1967).

 

 

Uno di questi segnali da osservare è la convivenza forzata della moda con il mondo digitale, grazie alla quale il significato della moda vive un momento di estrema confusione, assalita e fagocitata com’è dalle attenzioni planetarie di personaggi aspirazionali (conosciuti come wannabe, crasi di want to be, voler essere) che della moda percepiscono solo l’aspetto spettacolare.Quello, cioè, che li fa sentire partecipi di un mondo che a loro credere è elitario e, per questo stesso, fondamentale per la loro stessa esistenza sociale. Per loro, postare una foto sui social network con il capo di abbigliamento del momento o taggarsi in un «fashion event» è più importante del fatto stesso di possedere il capo o di essere presenti all’evento.

 

 

Una mentalità, più che un comportamento, che si è impossessata anche di parecchi addetti all’informazione che non distinguendo l’informazione e la comunicazione hanno inventato la «personalizzazione dell’informazione» che, con la complicità di molti editori, ha abbattuto la distinzione tra la funzione di chi informa e quella di chi comunica. Ma basta esplorare i social network per scoprire che questa personalizzazione fa più comodo a chi la fa che ai lettori, visto che le aziende, nei loro progetti di comunicazione, indicano i giornalisti come testimonial ufficiali di abiti e accessori.

 

I giornalisti giustificano un comportamento al limite della deontologia con l’aumento dei like e delle pagine viste, ormai vecchi moltiplicatori che servono alla vendita della pubblicità sulle edizioni digitali dei giornali, e gli editori sono contenti. Che l’informazione della moda arrivi per ultima a questa deriva non è una consolazione.
All’esterno del settore, tutto questo si riflette in linguaggio confuso che, per esempio, confonde la moda con il lusso, finendo con il fare del prezzo di un abito la discriminante per definire il concetto di lusso, quando spesso la moda vive quello che viene definito lussuoso perché costoso prima come un problema estetico e poi anche etico.

 

 

 

Un’attenzione maggiore al significato delle parole «moda» e «lusso» porterebbe a scoprire che da un’idea di lusso, negli Anni 30 è nata la Metropolitana di Mosca, con le stazioni di marmo e i lampadari di cristallo, mentre da un’idea di estetica agli inizi degli Anni 80 Giorgio Armani ha permesso alle donne di entrare nei Consigli di amministrazione delle fabbriche e delle multinazionali.