Ricordate il cigno reale aggredito in primavera sul lago di Bracciano? Ebbene, non ce l’ha fatta, è morto. In cura presso la Lipu a Roma per settimane, l’animale non riusciva più a deambulare, le ferite da decubito gli avevano piagato la pancia, la testa era perennemente reclinata sulle ali come un’ammainabandiera.

Il cigno aveva vissuto i suoi quindici anni nidificando in un’ansa del Parco del Lago, un campeggio situato tra Anguillara e Trevignano, sul lago che costituisce un ricovero ideale per questa specie di anatidi. Faceva coppia fissa con una femmina che stava,al momento dell’aggressione, covando le uova. Un ragazzetto ancora impubere, ospite estemporaneo di campeggiatori, si avvicina maldestramente al nido e viene prontamente attaccato dal maschio; il ragazzo si difende a pugni e le sue gambe risulteranno piene di lividi. Fin qui, per molti versi, reazioni normali: fisiologica quella dell’animale, umana quella del ragazzo verosimilmente digiuno di rudimenti etologici e sorpreso – quindi sicuramente impaurito- dall’attacco del cigno.

Sono presenti due militari, un uomo e una donna, che accorrono per allontanare il ragazzino cercando di spiegargli perché è in torto. Il cigno non ha riportato ferite letali, l’allontanamento del giovane umano sembra definire i contorni di una banale scaramuccia, di un banale episodio di cattiva educazione ambientale. Ma il peggio deve ancora venire. Il ragazzotto, nottetempo, si arma di bastone e fa di nuovo visita al cigno. La spedizione punitiva vedrà un secondo tempo, all’alba del giorno dopo allorché l’energumeno finirà il lavoro.

La corsa contro il tempo

Il titolare del campeggio, avvertito, farà d’acchito la cosa più naturale: allontanare il ragazzo dal comprensorio e farne un indesiderato. Non potrà mai più avere accesso al campeggio. Comincia la corsa contro il tempo per tentare di salvare la vita all’animale. La Guardia Forestale, interpellata, se ne tira fuori. L’Asl di Bracciano idem, adducendo la motivazione che loro si interessano solo di animali domestici (ma un veterinario, per Giove, non dovrebbe possedere quei rudimenti che gli consentano di prestare almeno le prime cure a un animale in difficoltà?), l’Ente Parco non può intervenire perché ha solo due vetture: una è ferma per un guasto, l’altra è ricoverata dal meccanico. L’ultima spes è la Lipu, ma la Lipu ha solo volontari e, d’altronde, non si può spostare un animale selvatico senza un permesso speciale. Il gestore del campeggio non si perde d’animo, carica con tutte le accortezze del caso il cigno e lo trasporta alla Lipu dove vivrà ancora qualche settimana tra alti e bassi; ogni giorno di sopravvivenza in più alimenterà una speranza andata poi frustrata con la morte del maestoso volatile che dalle acque del lago dove viveva indisturbato prima di incontrare un immalinconito e insensato carnefice ha finito la sua esistenza su un pavimento di graniglia.

Banale cronaca della quotidianità, verrebbe fatto di pensare. A chi può interessare la morte di un cigno in un pianeta depauperato dalla morte di centinaia di civili palestinesi innocenti (è non è orribile questa reiterazione warholiana della morte?). Dovrebbe interessare tutti noi, ci vien fatto di rispondere, nessuno escluso perché la salvaguardia dell’ambiente, il rispetto di un animale domestico, la cura della fauna con la relativa salvaguardia della catena alimentare serve a rendere più vivibile il pianeta (vi è mai capitato di leggere Storie di animali e altri viventi di Asor Rosa? un piccolo gioiello). Crudeltà umana a parte.

Uccelli e gentiluomini

E, a proposito, che dire di quei gentiluomini che hanno recentemente votato, in Parlamento, contro l’abolizione dei richiami vivi? Sapete di cosa si tratta? I cacciatori sono soliti catturare migliaia di tordi, di merli, di allodole, imprigionarli in gabbie dove non è consentito loro il benché minimo movimento e dove, al buio, perdono la cognizione del tempo per poi esporli nuovamente alla luce durante la stagione della caccia allorché cominciano a cantare a squarciagola la loro disperazione pensando sia arrivata primavera ed offrire così inconsapevolmente alle doppiette interi stormi di consimili. A favore di questa barbarie si sono dichiarati il Pd, Forza Italia e Ncd. Al Parlamento europeo è pronta una procedura d’infrazione contro l’Italia dal momento che questa pratica è proibita.

Conoscevo un uomo che aveva un gatto chiamato Tommasino. Bianco, con la coda tigrata e gli occhi da albino. Forse era un cane travestito da felino: sempre gli artigli ritratti, andava d’accordo coi cani e con gli umani. Rispondeva ai comandi e si fidava di tutti come fa un bambino. Spesso russava e l’uomo a dirgli di non farlo e lui smetteva. Una sera tanto frignò che l’uomo spalancò la porta sulla campagna oscura e minacciosa. Non fece più ritorno e l’uomo lo trovò l’indomani impiccato a un cartello stradale. Banale cronaca di un piccolo dolore quotidiano che si scioglie nell’alveo dei mille dolori del mondo, immarcescibile e per questo anonimo.

Accadeva in un ridente paese dell’alto Lazio, Oriolo Romano, dove pure vivevano tranquilli due cani inseparabili, Tommy e Nerone. Vivevano in un terreno recintato ma non soffrivano di solitudine, un uomo ogni sera li prendeva in consegna portandoli per una passeggiata nel bosco prospiciente. Nerone faceva paura a vedersi, era gigantesco e completamente nero ma docile e affettuoso. Aveva uno strano modo di manifestare la sua contentezza: invece di muovere la coda come un pendolo la roteava. Il piccolo Tommy era proprio piccolo, di colore fulvo e la coda arricciata e si faceva sentire, eccome se si faceva sentire. Un giorno un balordo (per vendicarsi del loro padrone? va’ a sapere) li avvelenò con il Paraflu, una sostanza appetibile per un canide data la sua consistenza zuccherina. Morirono tra atroci sofferenze e li trovò il giorno dopo l’uomo che li conduceva ogni sera in passeggiata. Dalla bocca e dall’orifizio anale fuoriusciva una bava bluastra. Il povero Tommy presentava la coda srotolata.

Pare che in questo ridente borgo, molti anni fa, il fenomeno del randagismo venisse contrastato con soluzioni radicali: un addetto faceva convogliare nel recinto del cimitero i cani perduti senza collare e, una volta chiuso il recinto, li abbatteva a badilate.

Già, cose del passato, oggi qui gli animali randagi vengono ricoverati in un recinto e rifocillati. Ma, per una cosa che cambia, altre rimangono immutate. La boscaglia di Monte Raschio è percorsa continuamente da bracconieri. Li conoscono tutti al bar centrale ma tant’è. Una volta hanno decimato una famiglia di cinghiali. Hanno tagliato la testa ai genitori lasciandola sul sentiero con tutte le interiora, due piccoli sarebbero finiti al forno due giorni dopo (i bracconieri tendono a vantarsi delle loro imprese ) e gli altri cuccioli che riuscirono a fuggire andarono sicuramente incontro a morte per inedia.

Andrea Frova, tra i nostri fisici più importanti, docente in passato a La Sapienza di Roma, già in odore di Nobel, ha sentenziato che, con gli attuali ritmi, al pianeta restano 500 anni di vita. Avete capito bene: cinquecento. Il fatto che la nostra esperienza si esaurirà prima non conforta.

Chi ha ucciso Daniza

L’uccisione di Daniza è notizia recente. Una brutta storia di amministratori inetti e veterinari della domenica. Lodevole l’atteggiamento del Procuratore di Trento Giuseppe Amato che ha disposto un’autopsia dell’animale con professionisti seri e ha affidato esclusivamente alla Guardia Forestale l’osservazione dei due cuccioli. Non è vero, dicono gli inetti di cui sopra, che le stessero dando la caccia. L’hanno accerchiata in cinque, senza vie di fuga, e l’hanno fatta fuori. Una banale vendetta. Se questo assillo verrà confermato dall’esame autoptico è sperabile che i colpevoli vengano perseguiti.

Ma a qualcuno di questi etologi da barzelletta è venuto mai il dubbio di documentarsi? Lo sanno che nei parchi nazionali degli Stati Uniti sono i ranger a occuparsi della fauna selvatica, che fanno dei corsi ai visitatori spiegando loro in primo luogo che quello che vanno a visitare è l’habitat dei plantigradi e non il loro? Sapete come vengono tenuti alla larga dagli uomini? Sparando loro dei proiettili di gomma: nessun danno fisico ma tanta paura sufficiente a mantenere inalterato l’equilibrio fra le due specie. E ai sedicenti etologi verrebbe fatto di chiedere: perché un orso dovrebbe vivere relegato (questo sarebbe stato comunque il destino di Daniza se non l’avessero accoppata) in un recinto di un ettaro quando il loro habitat sono gli sconfinati boschi? Solo perché un incauto cercatore di funghi s’è messo a rimirarla come un beota invece di indietreggiare e andarsene per i fatti suoi?

Ma che politica ambientale è mai quella che ghettizza un’orsa e le toglie i cuccioli non ancora svezzati? E, per continuare, non è vero che tifiamo più per Daniza che per una donna violata. Tifiamo per tutti coloro che si trovano in stato di dipendenza e di inferiorità fisica, in soggezione, tifiamo per i deboli, per gli emarginati. Nello specifico, Daniza avrebbe potuto vincere solo in un corpo a corpo, non disponeva di un fucile col quale rispondere al fuoco.

Il vostro rapace preferito

Lisbona, Castello di San Giorgio. In una radura vediamo decine di grossi volatili ancorati al proprio trespolo con una catena. Sono rapaci, aquile, falchi, barbagianni, gufi, civette. Di notevoli dimensioni. Sembrano drogati, istupiditi, nessuno di loro si muove tranne un falchetto che, a intervalli cadenzati, si protende in avanti dispiegando le ali (che abbia voglia di volare?). Un cartello enorme recita: «Fatevi una foto col vostro rapace preferito, solo 6 euro!».

La verità è che noi abbiamo una concezione dell’universo antropocentrica; al di fuori dell’ Uomo tutto è di secondaria importanza se non inutile. Macon e Concilio Tridentino non sentenziarono che animali e donne non avevano anima? Perfetto, il femminicidio viene dritto dritto da lì. E non fa ben sperare che dei miserabili neonazisti vadano imbrattando i muri accusando Anna Frank di essere una cantastorie.

Siamo alla chiusa. Sarete curiosi di sapere com’è finita con la morte del cigno e compagnia cantante. La compagna del cigno protagonista di questa storia, terrorizzata, è fuggita via lasciando le uova al pasto serale dei rapaci che nidificano sull’altura incombente la spiaggia. Il ragazzo si dice mortificato per l’accaduto ma, a lume di naso, pensiamo che lo sia maggiormente per non essere potuto più andare in vacanza (almeno per quest’anno). La madre è mortificata anch’essa, tentando maldestramente di assumere le difese del figlio («Non l’ha fatto apposta, so’ ragazzi…»). Ci sembra di leggere vecchi copioni.

Per la Legge e il buon senso non faremo il nome del minore ma possiamo certamente fare i nomi degli eroi. Alessio Rosi, il gestore del campeggio, persona risoluta e dotata di grande equilibrio, è la persona che si è data da fare per salvare il cigno e Corinna Baiocco, una collaboratrice amorevole e, anche lei, dotata di sensibilità ed equidistanza. Ma che Paese è mai questo che ha ancora bisogno di eroi?

Intanto, per la cronaca, una nuova famiglia di cigni è diventata stanziale proprio nel posto in cui, in primavera, uno di loro cercò di proteggere la specie. Lasciatevi andare e cercate di immaginare i volteggi dei nuovi arrivati sulle note di The swan of Tuonela di Maurice Ravel e, forse, ci piacerà pensare che non tutto è perduto.