Un anno fa, in questi giorni, non sapevamo se saremmo riusciti a salvare il manifesto dalla chiusura decretata dai commissari liquidatori. Sapevamo però che avremmo fatto di tutto per riuscirci. A metà pomeriggio del 18 dicembre 2012, il notaio Giovanni Mancioli ci accolse nel suo studio e preparò atto di costituzione e statuto de il nuovo manifesto società cooperativa editrice. Lo abbiamo voluto identico a quello della cooperativa storica: uguaglianza di diritti, bassi salari ma per tutti, una testa un voto per gli organismi «dirigenti». Questo giornale nato 42 anni fa è dunque ri-nato l’anno scorso. Ha avuto una seconda chance dopo la liquidazione causata dai debiti della nostra storia di indipendenza assoluta e integrale.

La notizia di oggi è che nonostante le tante cassandre siamo ancora vivi. Orgogliosamente vivi. Stanchi ma vivi. Come ci ha confessato un autorevole interlocutore istituzionale pochi mesi fa, «quando ci avete detto che avreste fatto una nuova cooperativa per continuare a pubblicare il manifesto abbiamo detto di sì, perché non potevamo certo impedirvi di provarci, ma mica pensavamo che poi ci sareste riusciti veramente…». In effetti. Venivamo da 4 anni di cassa integrazione, mesi di angoscia e scontri, senza tfr e senza diversi stipendi. In banca non avevamo un euro. Zero. Anzi, non avevamo nemmeno un conto in banca perché quello vecchio era dei liquidatori. Eravamo solo noi, otto stanze, computer vecchi di dieci anni e un giornale che dal 2 gennaio sarebbe andato in edicola con una nuova gerenza e nuove speranze.

Venivamo da mesi di rotture dolorose e addii fragorosi. Assemblee dentro e fuori il giornale. Generosità. Tanta. Di chi ha continuato a scrivere sapendo che non avrebbe visto un centesimo e di chi ha continuato a lavorare fino all’ultimo minuto non sapendo se avrebbe ancora avuto un lavoro. Delle migliaia di persone che nell’anno della liquidazione si sono riabbonate al giornale o hanno donato anche mille euro per una scommessa che appariva impossibile. Donazioni e abbonamenti sono rimasti alla vecchia coop. Ma il messaggio era perentorio: andate avanti, il manifesto non può chiudere. Abbiamo obbedito e non abbiamo chiuso.

Questo giornale non lo tiene aperto soltanto un collettivo tenace e temerario come pochi. Questo giornale è fatto per voi. Siete voi che ogni giorno ne decidete le sorti, acquistandolo, abbonandovi, mettendoci un pezzo di voi stessi e dei vostri sogni. Quando lo comprate, lo leggete o ci scrivete, tra noi non c’è un semplice scambio di informazioni. C’è uno scambio tra persone. Condividiamo le troppe sconfitte della sinistra e insieme lavoriamo sodo per le vittorie, che ogni tanto non sono mancate.

È per noi una vittoria festeggiare l’uscita ogni giorno in edicola per tutto quest’anno. Non era scontato. Quello che vi avevamo detto un anno fa l’abbiamo fatto. Il giornale c’è. Abbiamo rinnovato il formato cartaceo e tutta la parte digitale. Lo portiamo a viso aperto dove prima non c’era: nei mega negozi on line di Apple, Google e Amazon. Se possibile senza pubblicità. Perché per noi il manifesto è un cuneo in campo bianco. Significa combattere politicamente ed editorialmente non dalla retroguardia ma anche lì dove si formano i consumi culturali di miliardi di persone. Significa accettare la sfida a un livello più difficile. Portare i nostri contenuti al di là dello «zoccolo duro» italiano. Già oggi il 15% dei lettori del manifesto digitale ci legge dall’estero. E la metà degli abbonamenti non è più in edicola ma su telefonini e web. La dimostrazione che possiamo essere ovunque senza perdere la nostra identità.

Oggi il manifesto, purtroppo, è ancora in mano ai commissari liquidatori. La testata e l’archivio storico non sono né nostri né vostri. Li affittiamo ma sono in vendita. Per noi superare questa sciagura è la priorità delle priorità. Ogni mese i lavoratori del giornale si «tassano» di 300 euro per il fondo che servirà a riacquistare la testata. Molti di voi hanno già donato (si può fare anche sul sito nella pagina «sostienici» in alto a sinistra). Artisti e intellettuali sono al nostro fianco. Perché questa è un’impresa comune, che sfugge alle forze di un qualunque collettivo di giornalisti e poligrafici. È la sinistra italiana nel suo complesso che deve decidere di realizzare l’«impossibile».

Se nel 2013 abbiamo iniziato un cammino, il 2014 deve essere l’anno della svolta. Chiediamo né più né meno che l’unità del nostro piccolo-grande mondo su un obiettivo collettivo di straordinaria importanza: ridare una proprietà collettiva e indipendente a questo giornale. L’unico rimasto della sinistra italiana.

Finora quello che avevamo promesso siamo riusciti a farlo. Oggi diciamo che quando la testata sarà messa all’asta faremo la nostra offerta. Sarà un’offerta congrua e onesta. La migliore possibile. È un obiettivo che va al di là di chi oggi ci lavora o ci legge pro tempore. È un successo che può sprigionare un futuro diverso. La dimostrazione che da un fallimento si può risorgere.
Il primo passo verso questo traguardo sono gli abbonamenti e l’acquisto del giornale in edicola. Senza pubblicità e senza finanziamento pubblico (che arriverà, forse, soltanto alla fine del 2014), siete soltanto voi a darci l’ossigeno necessario ad andare avanti.

Ci sono le condizioni perché questa storia abbia un lieto fine. Sta a ciascuno di noi deciderlo.