«Miserandas maceries in terra tremente» è un passo della targa commemorativa posta all’interno della basilica di San Bernardino a L’Aquila, a ricordare il grande sisma del 1703 che aveva causato oltre 6000 vittime e distrutto l’antico impianto rinascimentale della città.

L’Aquila era stata un influente centro del regno di Napoli in cui per secoli sono confluiti importanti introiti del traffico della lana. La ricostruzione era pertanto avvenuta mantenendo il suo esclusivo rango architettonico, con la riedificazione e l’ampliamento di tutti i palazzi, il recupero delle chiese e di ogni elemento importante del suo passato.

IL MONUMENTO CHE OGNI aquilano ritiene rappresenti la storia della città è Santa Maria di Collemaggio, la basilica voluta dall’eremita Pietro da Morrone per l’incoronazione al trono pontificio nel 1294, a cui è seguito il gran rifiuto circa quattro mesi dopo.

A seguito del sisma del 6 aprile 2009, che aveva causato un parziale crollo nella navata principale e nell’abside, la chiesa è stata il primo grande monumento ad essere riconsegnato alla cittadinanza appena due anni fa. La grande facciata in pietra bianca e rosa è rimasta integra e sempre visibile, come se il recente grave evento non avesse avuto energia sufficiente per mutarne la forma.

In posizione defilata rispetto al centro storico, l’area di Collemaggio è come un’isola verde che ha ripreso a germogliare dopo il passaggio di un incendio. A pochi passi dalla basilica, nell’agosto 2018, sono terminati i lavori di riqualificazione del Parco del Sole e della costruzione dell’Amphitheater, il valore aggiunto per quest’area. Nell’ambito del progetto «Nove artisti per la ricostruzione» è stata realizzata, su progetto dell’artista americana Beverly Pepper, un’ampia struttura a conchiglia che segue il naturale profilo del parco: in pietra bianca e rosa, ha il colore della facciata di Collemaggio. Un anfiteatro realizzato per accogliere eventi e manifestazioni, un nuovo punto di incontro dove l’ambiente naturale è in continuità con un patrimonio artistico esclusivo in cui tutto diviene paesaggio. «La nostra città riparte da Collemaggio, dalla basilica e dal suo parco», dice la Sovrintendente Alessandra Vittorini, che con il suo ufficio specifico del Mibac per gli interventi privati nel cratere, ha curato il recupero dell’area: «Non bisogna mai dimenticare cosa eravamo prima del sisma, il ricordo del paesaggio originario, perché le veloci trasformazioni periferiche con il nuovo assetto urbanistico rischiano adesso di cancellare parte della nostra memoria e prospettiva».

[do action=”citazione”]«La nostra città riparte da Collemaggio, dalla basilica e dal suo parco», dice la sovrintendente Alessandra Vittorini. «Non bisogna mai dimenticare cosa eravamo prima»[/do]

I lavori di restauro,[object Object],al Teatro comunale

UN LUNGO VIALE DIRIGE verso il centro della città. I colori vivaci di alcune palazzine dei primi del ‘900 danno il segnale che le ferite di dieci anni fa sono state curate, come il palazzo neoclassico dell’emiciclo, sede del Consiglio Regionale d’Abruzzo. Con 61 isolatori sismici è uno dei pochi edifici pubblici in Italia con un adeguamento antisismico pressoché totale. Con i profondi interventi di restauro, è stata anche realizzata una biblioteca ipogea tra le antiche fondamenta di un convento preesistente, e dall’esterno del complesso sono state rimosse tutte le cancellate, così da farne un ambiente unico con l’adiacente villa comunale. Nuove superfici riconsegnate alla città e un ambiente sotterraneo che si fa biblioteca; spazi che si rinnovano che diventano luoghi inaspettati.

DA QUI LA SELVA DI GRU del cantiere diffuso del centro storico è perfettamente visibile. Le facciate ingabbiate da travi d’acciaio, i puntelli in legno, le reti e transenne hanno lasciato posto ai cantieri che, come su una scacchiera, stanno trasformando il caos dei crolli e delle macerie in altre forme e prospettive.

Il teatro della ricostruzione è quasi sempre aperto. È un cantiere diffuso che ti fa sentire protagonista: ovunque la pelle della città muta sotto gli occhi. Ogni demolizione rimuove una patina dolorosa della sua storia e riporta alla luce una forma diversa. Il rumore dominante è il respiro stesso dei cantieri, e c’è posto per poco altro.

Resta il silenzioso passaggio degli aquilani che cercano di riappropriarsi dei pochi spazi lasciati liberi, una vitalità orgogliosa che si muove tra i ricordi e gli incontri con luoghi e amici. Ci sono locali storici che non hanno mai abbandonato il centro storico e alcuni nuovi, spesso gestiti da giovani, che puntano adesso sulla rinascita della loro città.

Camminando tra queste strade e vicoli si ha comunque l’impressione di essere in spazi dominati da una schizofrenia collettiva: si passa da luoghi immersi nell’assoluto silenzio per poi voltare l’angolo e ritrovarsi in piena ricostruzione, oppure tra i tavolini di un locale con l’euforica compagnia di giovani studenti.

In via Cavour, una delle storiche strade della movida universitaria, sono appena terminati i lavori della chiesa di San Filippo, che ospita il teatro forse più amato dagli aquilani, dove in tanti, grandi e piccoli, hanno sempre affollato la sala. Qui sono confluiti i fondi dell’iniziativa di Caterina Caselli raccolti dalla vendita del cd «Domani», grazie alla disponibilità di oltre 50 artisti. Al suo recupero ha lavorato una squadra di 25 specialisti che ha ricomposto fregi, statue e affreschi, in molti casi scommesse vinte al caos delle macerie.

DAVANTI ALL’ALTARE è stato anche realizzato un palco di circa 100 mq che grazie ad un elaborato sistema di catene e montanti di acciaio è possibile abbassare a livello del pavimento per mostrare l’intero abside della chiesa, quando non sono previsti spettacoli.

Parlando con chiunque sia aquilano e che ha vissuto il disagio, anche sociale, del terremoto, si avverte l’impazienza di riappropriarsi della vitalità di questo capoluogo. Un intimo desiderio di tornare tra gli spazi reali della città dove guarire dalla diaspora nelle new town, che certamente non sono riuscite a mantenere un tessuto sociale in parte disgregato dal sisma.

La continuità dei ponteggi, a dieci anni dal terremoto, è adesso interrotta dalle facciate degli edifici restaurati, ma anche da installazioni d’arte che coprono molti cantieri. L’iniziativa, ad opera della associazione «Off Site Art», è nata nel 2014 per spezzare il freddo paesaggio delle impalcature e rendere visivamente più fruibile il centro storico.

UNA COLORATA GALLERIA all’aperto per mutare la triste narrazione in toni di grigio che si continua a percepire in molte vie cittadine.
Veronica Sacco è una delle ideatrici del progetto: «L’idea di esporre opere artistiche sulle facciate dei cantieri arriva da New York. Qui a L’Aquila l’abbiamo voluta proporre e sperimentare in un contesto nuovo e delicato: mostrare espressioni d’arte che sanno diventare paesaggio tra la polvere e nella forma impersonale di un cantiere. Fino ad ora abbiamo esposto opere di oltre 60 artisti internazionali».

Un cantiere, che prima di tornare casa diventa arte visuale, perché la ricostruzione culturale passa anche da segnali moderni come quello della street art. «Ci piacerebbe esportare la nostra esperienza anche in altri luoghi, come Amatrice e Norcia. Un cantiere su cui montare una delle nostre tele artistiche sarebbe il segnale di inizio per la loro ricostruzione», dice ancora Veronica.

[do action=”citazione”]La continuità dei ponteggi è interrotta da installazioni d’arte della associazione «Off Site Art», nata nel 2014 per spezzare il freddo paesaggio senza fine
delle impalcature[/do]

A L’AQUILA, IL RECUPERO degli edifici da destinare alle attività culturali è una necessità, resa prioritaria dal momento della completa inagibilità del castello cinquecentesco, che ospitava l’auditorium e il museo archeologico e medievale.

Già nel 2012, nell’adiacente parco, ha trovato posto la moderna costruzione in legno nata da un’idea del maestro Claudio Abbado su progetto di Renzo Piano, realizzata in sostituzione della sala concertistica. Per il nuovo museo è stato scelto l’ex mattatoio comunale, un particolare esempio di archeologia industriale, all’interno del borgo che ospita la fontana delle 99 cannelle, simbolo della fondazione della città. Qui è stata allestita una selezione dell’enorme patrimonio artistico cittadino, in cui sono visibili autentici miracoli ad opera dei restauratori su tele e statue interamente danneggiate dal sisma. Il direttore del museo, Mauro Congeduti, mi riceve davanti la statua in terracotta di Sant’Antonio Abate, che è il simbolo di questo recupero: «Il restauro della statua di Saturnino Gatti, realizzata nel 1500, è stata una autentica sfida: un puzzle di circa 800 cocci da dover ricomporre. Una dimostrazione di ingegno e perseveranza che ha riconsegnato un patrimonio che pensavamo ormai di aver perduto», e aggiunge, «la nuova scommessa è tornare a prima del 2009, quando avevamo più di 60mila visite, scese adesso a meno di 10mila». A L’Aquila, dal turismo iniziale delle «macerie», incuriosito dai ruderi della tragedia, si è passati a tour più preparati e mirati al patrimonio artistico recuperato, anche se con un numero ancora ridotto di visitatori.

UN GRUPPO DI STUDENTI è seduto sulla scalinata di San Bernardino, un’ampia discesa ciottolata da cui si può osservare dall’alto una parte del centro storico. La scena mi riporta indietro a quando, con la stessa prospettiva, il fotografo Henry Cartier Bresson, «l’occhio del secolo», una mattina del 1951 ha fermato il “suo” sguardo sulla città. Rispetto alla vecchia immagine il paesaggio sembra cambiato poco, e la sensazione è di trovarsi davanti un palcoscenico su cui stanno montando una nuova scenografia per L’Aquila. Alcune gru si muovono lentamente sui tetti e la facciata di un cantiere è stata appena coperta da una immagine a colori del duo artistico Bomboland. La città, come la fenice, sta rinascendo ancora una volta, uguale e diversa, come da un copione scritto dalla stessa terra su cui poggia da sempre le fondamenta.