Se ne è andato a Corfù Paolo Rosa, in mezzo al mare azzurro della Grecia che amava tanto, colpito forse da un infarto, in un momento di vacanza tra i numerosi impegni che costellavano la sua vita intensa e frenetica. Ed è per un singolare gioco del destino che sia accaduto in terra straniera, se pensiamo che spesso questo artista – così come Studio Azzurro, il collettivo di cui è stato tra i padri fondatori insieme a Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi – si sentiva più apprezzato all’estero che nel suo paese: dalla Germania agli Stati Uniti, dal Giappone alla Cina, dove nel 2010 aveva allestito la mastodontica installazione Sensitive City per il padiglione italiano dell’Expo. Agli inizi di giugno, lo avevamo incontrato durante la vernice della Biennale di Venezia. Era lì per inaugurare la grande opera interattiva nel padiglione della Santa Sede. Già, perché Studio Azzurro in oltre trent’anni di attività, dopo aver esposto nei musei di tutto il mondo, non è mai stato invitato in nessuna biennale di arti visive.
Nato nel 1949 a Rimini, Paolo Rosa si trasferisce ben presto a Milano, dove si forma all’accademia con un docente quale Davide Boriani del Gruppo T. Dopo l’esperienza del Laboratorio di Comunicazione Militante, in cui arte e politica si mescolano tra loro, nel 1982 fonda insieme a Leonardo Sangiorgi e Fabio Cirifino il collettivo che avrebbe rivoluzionato l’arte mediale in Italia, e non solo, attraverso un uso sapiente e consapevole delle nuove tecnologie, utilizzate per creare un dialogo infinito con le altre forme espressive: dal cinema alla musica, dalla performance al design, dall’architettura alla letteratura, dalla fotografia alla danza. Nascono i primi videoambienti, come Il nuotatore che, allestito per la prima volta nel 1984 nel Palazzo Fortuny di Venezia, segna una tappa fondamentale nell’evoluzione di un linguaggio ancora nuovo come la «videoarte».
Nel frattempo, il raggio di azione si allarga al teatro, grazie alla proficua collaborazione con Giorgio Barberio Corsetti per gli spettacoli Prologo a diario segreto contraffatto (1985) e La camera chiara (1987). Sono gli anni in cui si diffonde il videoteatro e l’Italia diventa un punto di riferimento per questo interscambio tra arti elettroniche e performance, dove gli attori interagiscono con gli schermi video. Studio Azzurro è all’avanguardia nella ricerca e nella sperimentazione di nuovi dispositivi, dal satellite alla termografia ai raggi X.
Ma è una tecnologia mai fine a se stessa, che semmai amplifica la poesia dell’opera e la rende spettacolare per coinvolgere sempre di più emotivamente lo spettatore.
Il vero passaggio a quella che Rosa considerava l’opera «partecipata» avviene però nel 1995, quando Studio Azzurro – che nel frattempo ha abbandonato gradualmente il monitor in favore della più «espansa» videoproiezione – inaugura gli ambienti sensibili: da Tavoli a Coro, da Totale della battaglia a Il soffio sull’angelo (1995-1997), le installazioni immersive di Studio Azzurro, composte da centinaia di invisibili sensori, prendono vita sotto i piedi o grazie alle mani e ai rumori delle persone che li vivono, li attraversano, li abitano. L’obiettivo che i futuristi si prefiggevano nel 1912 di porre lo spettatore al centro del quadro, finalmente si realizza pienamente. Ma un’altra immensa area di ricerca cui Rosa si dedica insieme a Cirifino, Sangiorgi e a Stefano Roveda (il quarto moschettiere che si era aggiunto nel corso degli anni) è quella dei musei tematici: i sistemi interattivi vengono applicati per svecchiare le modalità di fruizione espositiva e per rendere più entusiasmanti i percorsi didattico-museali. Anche in questo caso Studio Azzurro diventa leader e pioniere in Italia e nel mondo.
Paolo era una persona di grande umanità e disponibilità, lavoratore instancabile, artista generoso, che riusciva sempre a trovare un momento libero nella sua fitta agenda per partecipare a un convegno, per tenere un workshop, per allestire un’installazione in un piccolo paese della provincia italiana così come in una grande metropoli internazionale. Era l’anima del gruppo milanese, una famiglia allargata e variabile che, in alcuni momenti, comprende fino a 25 collaboratori, nella sede della Fabbrica del Vapore in via Paolo Sarpi. Un artista e al tempo stesso un teorico: basti pensare all’attività di docente, amatissimo dagli studenti, presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, dove ha diretto per anni il dipartimento di progettazione e arti applicate, ma anche ai suoi testi, ai contributi critici, agli interventi spesso polemici e propositivi, come il libro L’arte fuori di sé – scritto con Andrea Balzola e pubblicato da Feltrinelli nel 2011 – che ha come sottotitolo Un manifesto per l’età post-tecnologica, pamphlet e al tempo stesso un lucido saggio teorico e metodologico sulla politica dell’arte e della comunicazione.
In una nostra conversazione pubblicata nel libro Tracce, sguardi e altri pensieri, allegato al doppio dvd edito da Feltrinelli nel 2007, Paolo verso la fine osservava: «L’odierna filosofia dell’arte contemporanea predica un élitarismo insopportabile: gli artisti devono essere comprensibili solo da un pubblico di eletti, specialisti. La massa è considerata persa nei meandri del sistema tecnologico, irrecuperabile dall’assopimento mediatico in cui si trova. È una strada completamente sbagliata. Con queste persone dobbiamo invece riaprire un dialogo, un rapporto che troppo a lungo è stato disdegnato dalle avanguardie artistiche. Abbiamo gli strumenti potenziali per farlo. Occorre avere la coscienza su che ruolo gioca in questa epoca l’arte, di quale responsabilità si carica la figura dell’artista, individuale o collettivo che sia, di fronte alle emergenze, spesso drammatiche cui ci troviamo di fronte. E di conseguenza trovare gli elementi e le modalità per riaprire una complicità profonda tra arte e società».
Infinitamente curioso, attento, meticoloso, creativo, Paolo Rosa non ha mai avuto la velleità del front man, ha sempre usato il «noi», anche quando ha firmato come regista l’originale lungometraggio Il mnemonista(2000) – lirico film saggio basato su un’affascinante narrazione non-lineare, viaggio nella mente di un personaggio realmente esistito, il celebre caso clinico studiato da Lurija – lo ha considerato opera collettiva, come è a tutti gli effetti, credendo in un gioco di squadra. Da ora però, dopo aver perduto il suo centravanti, la squadra di Studio Azzurro non sarà la stessa.