Non devono essere piaciuti molto allo spagnolo Pedro Sánchez i tortellini al brodo offerti da Matteo Renzi alla Festa dell’Unità di Bologna, lo scorso 7 settembre. Al primo test politico rilevante, infatti, il «patto» fra i leader socialisti europei in camicia bianca si rivela in tutta la sua inconsistenza: il telegenico neosegretario del Psoe ha messo in chiaro che gli eurodeputati del suo partito voteranno contro la nuova Commissione guidata da Jean-Claude Juncker. Per tre ragioni: «il presidente è Juncker, il commissario spagnolo designato è il conservatore Miguel Arias Cañete all’ambiente, che come ministro è stato tutto tranne che verde, e quelli che guideranno la politica economica sono ancora più filo-austerità di quelli della Commissione precedente», ha spiegato lo scorso lunedì in una trasmissione della tv pubblica iberica.

Il «no» annunciato dei socialisti spagnoli è in continuità con la scelta che i 14 europarlamentari del Psoe fecero lo scorso luglio, quando l’ex premier lussemburghese si sottopose al voto della Camera di Strasburgo per l’investitura a capo dell’esecutivo comunitario, ricevendo il «sì» della maggioranza del gruppo socialista (Pd incluso). Le norme «costituzionali» dell’Unione europea prevedono un doppio passaggio parlamentare: prima l’elezione del solo presidente della Commissione (avvenuta il 15 luglio), successivamente una sorta di voto di fiducia alla nuova Commissione nel suo complesso. Che è quello che accadrà ad ottobre (probabilmente fra il 20 e il 23), in tempo utile per il passaggio di consegne ufficiale fra José Manuel Barroso e Juncker previsto per il primo novembre.

È possibile che nelle prossime settimane le cose cambino, e qualche piatto di tortellini cucinato meglio convinca Sánchez a rivedere le proprie posizioni. Una cauta apertura a questa possibilità nelle parole della capodelegazione dei socialisti spagnoli a Strasburgo, la 40enne Iratxe García, che l’altro ieri in un’intervista radiofonica ha riconosciuto che per la decisione finale saranno determinanti le audizioni dei commissari designati di fronte alle varie commissioni dell’Eurocamera. «Attualmente siamo lontani da un voto favorevole, ma ci interessa capire come Juncker pensi di concretizzare la sua proposta di investire 300 miliardi di euro per lo sviluppo e l’occupazione», ha affermato García. Si tratta della misura che il neopresidente dell’esecutivo Ue ha estratto come un coniglio dal cilindro per ingraziarsi il consenso dei socialisti europei, senza però chiarire se si tratti di nuove risorse o, come appare molto più probabile, dell’utilizzo di denaro già in altre forme stanziato.

La «grandissima coalizione» formata da eurosocialisti, conservatori del Ppe (cioè il partito di Angela Merkel) e liberali dell’Alde mette dunque in serio imbarazzo il Psoe. Se per Renzi è sufficiente rivendersi in patria il «riconoscimento per l’Italia» rappresentato dalla nomina di Federica Mogherini ad Alta Rappresentante per la politica estera Ue, Sánchez non può concedersi nessun passo falso che scopra il fianco alle critiche dell’agguerrita concorrenza a sinistra di Podemos, in ascesa per i sondaggi, e di Izquierda unida. Nella famiglia dei socialisti europei, in realtà, ognuno gioca una partita per sé: con buona pace dei tortellini, non c’è una vera strategia condivisa. Se così fosse stato, i leader in camicia bianca avrebbero unito le loro forze per ottenere ciò che, al di là dei nomi, dovrebbe interessare tutti loro: una distribuzione più equa del peso politico all’interno della nuova Commissione fra le tre forze della coalizione. E invece, il socialista francese Pierre Moscovici si è visto assegnare un ruolo di serie b, perché, con il trucco delle vicepresidenze, a «coordinare» i portafogli economici ci sarà l’ormai già arcinoto Jyrki Katainen, l’ex premier conservatore finlandese messo a fare il cane da guardia al sacro dogma dell’austerità.