La vera didascalia alla «foto di Narni» – in primo piano quattro maschi, come una foto antica virata seppia – la scrive il premier Conte mentre chiude il suo intervento nell’auditorium San Domenico: «Ci siamo e ci saremo anche dopo». La kermesse non serviva solo a dare una mano al candidato alla regione Umbria Bianconi. E neanche solo a condividere, «mettere la faccia» su una possibile sconfitta, tutti insieme tranne Renzi.

C’è chi crede, o dice di credere, nella vittoria, come il portavoce del premier Rocco Casalino che racconta ai cronisti in confidenza che Conte «ha il tocco magico» capace di cambiare verso ai sondaggi. C’è chi come Zingaretti non lascia niente di intentato, spingendosi generosamente contro Salvini con parole che non da lui non ti aspetti: «Siamo passati dalla raccolta di consenso con l’ubriacone del Papeete al fatto che non si paga più il superticket in sanità».

Il vero senso del quartetto «narniano» è la sigla di un patto, la sua firma simbolica sull’impegno a «esserci anche dopo». Ovvero proseguire l’avvicinamento fra Pd e 5 stelle, rinsaldando l’intesa di governo, avviando gli accordi per le prossime regionali. E soprattutto impegnarsi da subito nell’alleanza politica futura. Per il momento Renzi si tiene le mani libere, anche a livello regionale, come ieri ha spiegato Ettore Rosato, coordinatore di Italia viva dal Veneto, una delle regioni che si avviano al voto: «Nel 2020 ci saremo, ancora dobbiamo valutare con chi».

All’interno del Pd per Zingaretti la strada dell’accordo con i 5 stelle è meno semplice di come lui stesso tende a comunicare, soprattutto se domani sera dall’Umbria arriveranno brutte notizie.

Nella geografia interna dei dem c’è il gruppone degli scettici di Base Riformista, la corrente di Lotti e Guerini prossima a entrare in maggioranza: al momento non dà affatto per scontata la coalizione con i grillini. A mettersi invece apertamente di traverso sono i Giovani turchi di Matteo Orfini: chiedono che Zingaretti sottoponga la nuova linea al vaglio di un congresso vero, l’unico formalmente titolato a decidere l’alleanza «strutturale» con i 5 stelle.

Poi c’è la sinistra, sponsor da sempre del dialogo con i grillini. Ma in queste ore qualche perplessità arriva anche da lì. Il tema è quello di un Pd troppo rinunciatario con l’alleato di governo.

Per esempio sui migranti. Il voto di giovedì a Strasburgo sulla risoluzione «antiOng», si è risolto in un regalo ai sovranisti grazie alla determinate astensione grillina. «Sono stato tra i primi a favorire il dialogo tra sinistra e penta stellati ma questo confronto e poi l’azione di governo si deve basare su valori condivisi e programmi coraggiosi. Altrimenti l’accusa di stare insieme solo per le poltrone rischia di diventare verosimile», dice l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio.

E il collega Giuliano Pisapia: «Il M5S non ha capito che non è più al governo con la Lega. Politicamente la questione è rilevante e non può essere superata con un’alzata di spalle anche perché l’attuale esecutivo non ha ancora eliminato gli incostituzionali e antidemocratici decreti sicurezza». Il collega Pietro Bartolo si fa portavoce della richiesta al governo – dunque al Pd e dunque a Zingaretti – di stracciare gli accordi con la Libia: «Se dovessero rinnovarli protesterò con forza, non starò zitto. Tutti sappiamo quello che succede. Parliamo di accordi con i miliziani, con la guardia costiera libica, che abbiamo visto cosa fanno quando riportano queste persone indietro. E noi abbiamo dato loro pure le motovedette»