Tra un tentato golpe e l’altro, riprendono questa settimana, alle Barbados, i colloqui tra il governo Maduro e l’opposizione. Ad annunciarlo è stato il ministero degli Esteri della Norvegia, rendendo nota la decisione delle parti di «dare seguito al processo negoziale», in maniera «continua e spedita», per «avanzare nella ricerca di una soluzione accordata e costituzionale per il Paese».

Dopo il colpo basso rappresentato dal rapporto a senso unico sul Venezuela dell’Alta commissaria Onu per i diritti umani Michelle Bachelet, duramente criticato dentro e fuori il Paese, il governo Maduro, che sulla via del dialogo ha sempre scommesso, segna così un punto a suo favore. «La storia – ha scritto il ministro della Comunicazione Jorge Rodríguez – riconoscerà l’ostinata volontà di pace mostrata dal governo bolivariano, dal comandante Hugo Chávez e dal presidente Nicolás Maduro. Ci auguriamo che i loro sforzi producano frutti». Molto dipenderà dall’atteggiamento dell’opposizione, sulla cui affidabilità pesano massicciamente tanto la vocazione inguaribilmente golpista di cui ha dato prova per ben due volte negli ultimi mesi, quanto i ricorrenti dietrofront a cui, in sede di negoziati, ha abituato il Paese.

Quanto scarso sia l’entusiasmo dell’opposizione nei confronti del dialogo con il governo, Guaidó non fa molto per nasconderlo. Preoccupato soprattutto di non dare l’impressione di voler scendere a patti con «l’usurpatore», come da qualche parte nelle fila dell’estrema destra, gli viene chiaramente rimproverato, l’autoproclamato presidente ad interim si è limitato a esprimere su Twitter la propria disponibilità a portare avanti «il lavoro in tutti gli spazi che ci avvicinino alla libertà». «Tanto ad Oslo come nel Gruppo internazionale di contatto e in tutti gli spazi di pressione – ha detto – il nostro obiettivo è lo stesso: trovare una soluzione definitiva alla crisi nel nostro Paese».

Ma che il leader di opposizione sia ormai caduto in disgrazia non è più un segreto per nessuno. Neppure la vittoria che ha rappresentato per lui la pubblicazione del rapporto di Michelle Bachelet – elaborato probabilmente prima ancora della visita dell’Alta commissaria in Venezuela e cucito strettamente su misura degli interessi degli Stati uniti – è bastata ad alzare le sue quotazioni. La marcia da lui convocata il 5 luglio, nel giorno dell’indipendenza del Venezuela e sotto l’impatto delle denunce espresse dal rapporto, ha registrato, secondo il direttore (non chavista) della società «Ceca Consultores», Víctor Manuel García Hidalgo, l’affluenza più bassa tra tutte le manifestazioni convocate dall’autoproclamato presidente: appena 23.670 persone.

E un vero schiaffo in faccia è arrivato a Guaidó anche dalla Germania, che, con una clamorosa retromarcia, ha finito per riconoscere la legittimità del governo Maduro, decidendo di ristabilire le relazioni diplomatiche con il Venezuela. Lo ha reso noto il primo luglio il ministro degli Esteri Jorge Arreaza, annunciando «l’inizio del processo di normalizzazione delle relazioni diplomatiche con la Germania» e l’autorizzazione concessa da Maduro al «ritorno dell’ambasciatore Daniel M. Kriener nel Paese per costruire un programma di reciproco interesse, basato sul rispetto». Lo stesso ambasciatore che era stato espulso il 6 marzo scorso dopo aver accolto all’aeroporto della capitale l’autoproclamato presidente, di ritorno in Venezuela dopo un tour promozionale in America Latina, in aperta sfida alla giustizia venezuelana.
claudia fanti