Le voci delle dimissioni di Renzi si infittiscono. Il tentativo di far decollare la richiesta di congresso anticipato a furor di social alla fine si è rivelato un mezzo flop: l’hashtag #famostocongresso è rimasto confinato alla fascia ormai sempre più ristretta dei fedelissimi. Alcuni dei quali giurano che lunedì Renzi metterà la direzione Pd di fronte a un bivio: o elezioni subito o congresso anticipato. Voci raccolte anche dal sito Unità.tv: la reggenza del partito passerebbe a Matteo Orfini, uno degli ultimi gappisti del segretario, per avviare – in sintonia con lui – da aprile la fase congressuale e arrivare alle primarie già ai primi di maggio.

Data ormai per impraticabile la strada del voto a giugno, anche la precipitazione verso il congresso non gode di grandi consensi fra senatori e deputati. Ma gli equilibri della direzione sono ben diversi da quelli dei gruppi parlamentari. Dei 160 componenti (120 eletti dall’assemblea più 20 personalità scelte dal segretario e 20 sindaci), le minoranze contano poco più di una ventina di voti. È difficile che, prese in contropiede dal colpo di teatro del segretario, le aree dei ministri Franceschini e Orlando, pur in grande travaglio interno, si sottraggano alle sue indicazioni.

Le minoranze stanno messe anche peggio. Neanche i tamburi di guerra renziani riescono unire le anime delle sinistre interne al Pd, non meno divise di quelle ’fuori’. Marciano divise e rischiano di colpire divise. E di fallire l’obiettivo numero uno: battere Renzi.

Oggi e domani le minoranze si vedranno a Firenze per provare «rivoli e fiumiciattoli», «i treni e i trenini che stanno partendo», spiega Francesco Laforgia, organizzatore dell’iniziativa «Per fare un fuore». L’ex cuperliano ormai passato a ’Consenso’ di Massimo D’Alema farà incontrare – nel corso di una due giorni – Roberto Speranza, Enrico Rossi e Michele Emiliano, e cioè due candidati e mezzo al congresso, dove il ’mezzo’ è Emiliano che a differenza degli altri due non ha (ancora) annunciato la sua corsa. L’intenzione di Laforgia e compagni è convincere tutti gli antirenziani «a un progetto più ambizioso». Difficile che riesca. Più volte il presidente della Toscana Rossi ha espresso la sua determinazione a non farsi indietro.

Da ultimo ma non ultima c’è la variabile Andrea Orlando. Che in questi giorni si è fatto avanti. Viene indicato come l’erede degli ex Pci ed il prescelto dall’ex presidente Napolitano. Potrebbe convincere i bersaniani. E persino i franceschiniani. Ma Orlando è un giovane uomo prudentissimo. Difficile che si lanci in un’avventura congressuale con i tempi troppo stretti ed immediati. Che non a caso Renzi potrebbe imporre.