Sul volto e sul corpo «maratoneta» di Tom Courtenay, il Free Cinema inglese manifestava, per la prima volta, il disperato bisogno di un rinnovamento radicale di un cinema prigioniero del disinteresse sociale e politico, cristallizzato in un demi-monde sordo e disattento al quotidiano. Un piccolo manipolo di «giovani arrabbiati» e sconosciuti stravolse il cinema inglese, scoprendo un’affinità elettiva in grado di creare uno stile, diverso dai coevi nouvellevaghisti francesi, e una rivoluzione, non estetica o filmica ma copernicana di contenuti, di sguardo sul mondo dove i confini sono tracciati dal realismo, dalle strade sporche e dalle fabbriche piene di pulsioni. «Anche se nel 1962 ho girato Gioventù, amore e rabbia con Tony Richardson, considerato la pietra miliare del Free Cinema, non mi rendevo conto della portata rivoluzionaria di quel film» ricorda l’attore, di passaggio a Milano per la promozione del suo ultimo film, 45 anni, diretto da Andrew Haigh, presentato in concorso alla scorsa Berlinale e in sala il prossimo 5 novembre. «Avevo appena cominciato a recitare in teatro ed ero consapevole soltanto dell’estrema importanza che quel film aveva per me. É stato un debutto impensabile, anche perché ero molto giovane, e questa opportunità è stata quasi una lama a doppio taglio al punto tale che, dopo una decina d’anni, abbandonai il cinema per tornare al teatro perché sentivo che avevo ancora molto da imparare».

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Tom Courtenay gioca, si diverte a «sminuire» il lavoro con David Lean per Il dottor Zivago: «Era noioso aspettare ore e ore che David scegliesse le nuvole giuste da filmare», mostra con orgoglio e divertimento, sul suo telefonino, la foto dell’amato cane Stanley mentre fissa un ritratto di Colin Firth. Ma soprattutto non guarda al passato con rabbia, come il manifesto teatrale di John Osborne, e impreziosisce la Storia di dettagli grotteschi (il furto della Coppa Volpi vinta grazie a Per il re e per la patria di Joseph Losey) ed echi di antiche rivalità.

«I critici inglesi hanno sempre scritto che ogni cosa che facevo era sulle orme di Albert Finney. Li ho presi talmente alla lettera che un giorno, a casa della madre di Albert, sentii il suono inconfondibile della Coppa Volpi dentro uno scatolone e pensai di portargliela via». Sempre di passato, oscuro e sepolto, si agita il presente dei due protagonisti di 45 anni, Geoff e Cate, interpretata da Charlotte Rampling e vincitrice (insieme a Courtenay) dell’ Orso d’Argento per la migliore interpretazione, coppia felicemente sposata da quasi mezzo secolo che, in procinto di festeggiare il loro anniversario di nozze, viene scossa, con lontani echi da La signorina Dalloway di Virginia Woolf, dalla scoperta della tragica morte della prima fidanzata dell’uomo durante un’escursione montana dei due «Un’omissione sepolta per così tanto tempo suona quasi improbabile ma non mi sono mai posto la domanda dopo aver letto la sceneggiatura, ho sempre pensato che potesse essere verosimile».

Courtenay ricorda anche il primo incontro con il giovane Haigh: «Quando ho letto la sceneggiatura, è stato tutto molto semplice e immediato, c’era poco da spiegare perché mi sono subito sentito dentro il personaggio. Dunque con Andrew non era necessario discutere della figura di Geoff perché è stato così potente l’effetto della lettura che sentivo di non dover chiedere nulla. Anche il lavoro insieme a Andrew è stato semplice; è un regista con uno stile molto preciso, abbastanza naturalistico, non ama molto i primi piani ma soprattutto ha fatto un lavoro eccezionale sul breve racconto In Another Country di David Constantine. Nel film rimane poco del testo originario, Andrew ha scritto dal nulla la parte delle celebrazioni dell’anniversario e una persona capace di compiere una tale operazione di riscrittura per me è già di per se uno di talento».

45 anni vede anche, per la prima volta, l’incontro artistico fra Courtenay e Charlotte Rampling, dopo tanti decenni passati a sfiorarsi da un set all’altro. «Con Charlotte abbiamo condiviso del tempo, oltre alla macchina, e mi sono subito abituato al suo essere sempre in ritardo. Abbiamo lavorato poco prima delle riprese, io ho fatto quasi tutto da solo, è stato un avvicinamento solitario ma sono felice di aver vinto l’Orso d’Argento insieme a lei».

Il tema universale del rapporto di coppia è uno dei fulcri del film ma Courtenay, a differenza di quello che è stato scritto in patria, rifiuta una certa inclinazione british: «Molte persone hanno sottolineato un qualcosa che sento non appartenere al film, una certa tendenza, tipicamente britannica, al controllo dei sentimenti, al voler seppellire le emozioni più violente. Non credo che sia così, il lato rabbioso e manipolatore di Geoff emerge perfettamente ma la cosa che mi ha davvero inquietato, più del segreto in sé, è stato il dover interpretare un uomo al tempo stesso sincero e manipolatore, un uomo che confonde sentimenti e atteggiamento, che non separa in maniera netta, come piace a tanto cinema, il lato luminoso da quello oscuro».