Dall’8 agosto Piazza Duomo è in fermento: teatro, concerti, dibattiti, visite guidate, laboratori: non si tratta della programmazione estiva della città ma delle attività di un presidio permanente che giorno e notte alza la sua voce nei confronti della Prefettura che nei palazzi del Broletto ha la sua sede. A tornare in piazza con questa forza sono cittadini e movimenti ambientalisti bresciani indignati per la piega che ha assunto l’annosa vicenda della depurazione delle acque del lago di Garda. Un problema serio, quello dell’inquinamento delle acque del Garda, ma che in qualche modo va tenuto distinto dalla questione del nuovo impianto di depurazione, che ha generato una dinamica che ha diviso e paralizzato la politica locale per anni e che nei suoi recentissimi sviluppi vede un intervento a gamba tesa del Governo.
L’impianto di depurazione attuale risale agli anni settanta e si avvale di due tubature subacquee (condotte sublacuali) attraverso cui gli scarichi sono convogliati al depuratore di Peschiera del Garda, che scarica nel fiume Mincio anche le acque provenienti dai comuni della sponda veneta. È dal 2007 che si discute sulla necessità di un nuovo impianto, poiché l’intensa urbanizzazione che ha interessato i territori bresciani che si affacciano sul lago di Garda (si è passati da 300 mila abitanti a più di mezzo milione, con livelli di cementificazione 30 volte superiori a quelli degli anni 50) non è stata accompagnata dall’adeguamento della rete fognaria, che oltre al problema di una collettazione insufficiente di tutti gli scarichi presenta ancora oggi quello molto grave della mancata separazione delle acque nere da quelle chiare (le acque piovane). Sul che fare, il potenziamento dell’esistente o un nuovo impianto, e sul territorio di quali comuni intervenire si è litigato per anni, a colpi di studi di fattibilità e passaggi di incarichi (dall’Azienda Speciale Garda Uno all’Università), sino a che una mozione approvata da larga maggioranza dal consiglio provinciale di Brescia, ottenuta sulla spinta della mobilitazione di 15 comuni bresciani e mantovani e di svariate associazioni ambientaliste, metteva in chiaro che nell’eventualità si scegliesse di costruire un nuovo impianto, questo dovesse essere localizzati nelle aree territoriali dei Comuni afferenti all’impianto stesso. Indirizzo strategico che con sua logica in termini di responsabilità (i comuni interessati si depurano le loro acque) andava a eliminare le ipotesi che ventilavano impianti di depurazione collocati i comuni diversi da quelli del territorio del Garda, che non si volevano fare carico delle acque sporche di qualcun altro.

QUESTO PASSAGGIO È STATO COMPLETAMENTE cancellato dalla decisione del Governo di commissariare la questione, su pressione del Comitato del Garda il cui Presidente è Maria Stella Gelmini, che ha firmato la richiesta fatta al ministero della Transizione ecologica, e di due sindaci di comuni gardesani. Come Commissario è stato scelto il Prefetto di Brescia, Attilio Visconti, che in tempi da record ha imposto la soluzione che sia dal punto di vista ambientale che economico che delle responsabilità, solleva perplessità: dismissione delle condotte sub lacuali a favore di un nuovo impianto da collocare nei comuni bresciani di Gavardo e Montichiari, che distano in media una ventina di km dalle sponde del lago; scelta che oltre a non tenere conto dell’orientamento espresso dal consiglio provinciale comporta l’idea di scavalcare le colline moreniche superando un dislivello di 150 metri con un mega sistema di pompaggio per trasferire tutti i reflui fognari nel fiume Chiese, che scorre parallelo al lago di Garda. Un progetto che ha il sapore della grande opera con i suoi costi e la sua durata:230 milioni di euro, di cui 100 milioni verrebbero erogati dal Ministero delle Infrastrutture, mentre gli altri sarebbero “oneri di sistema”, cioè verrebbero addebitati sulle bollette degli utenti. Per quanto riguarda i tempi, tra progettazione definitiva, valutazione di impatto ambientale e cantierizzazione, se tutto va bene solo entro la fine del 2026 i due impianti potrebbero iniziare a depurare i reflui dei comuni gardesani della sponda bresciana del lago.

CITTADINI ED ATTIVISTI AMBIENTALI SONO MOBILITATI per una soluzione meno onerosa dal punto vi di vista ambientale ed economico e denunciano la cancellazione della volontà democratica espressa dalle istituzioni locali.

Mario Ruzzenti, storico dell’ambiente e membro del Comitato 9 agosto, la rete di associazioni promotrice delle proteste, sottolinea come la richiesta del Comitato del Garda contenga una novità assoluta nelle motivazioni per istituire un Commissario: non infiltrazioni criminali, non situazioni di gravissima emergenza od urgenza, ma l’esistenza (testuali parole) di «azioni politiche e interessi di parte». Motivazioni che difatti non vengono prese in considerazione nel decreto di nomina, che viene giustificata «al fine di consentire la rapida attuazione del sistema di collettamento e depurazione del lago di Garda e la conseguente tempestiva dismissione della condotta sublacuale, giunta al termine della propria vita tecnica».

Sempre Ruzzenenti specifica che la condotta sublacuale non sembra sia giunta al termine della propria vita tecnica se la relazione di Acque Bresciane srl, del 16 giugno redatta al termine della manutenzione in alto fondale svoltasi da marzo 2021, afferma che «lo stato delle condotte è ottimale» e che con le manutenzioni in atto «il termine è estensibile a 50 anni». La scelta di posare una nuova condotta di diametro superiore alle due pre-esistenti e il potenziamento del depuratore di Peschiera è quella sostenuta dai comitati, sia per i tempi di realizzazione, molto più brevi, che per l’impatto ambientale che per i costi: 63 milioni di euro secondo uno studio di fattibilità commissionato dal Tavolo delle Associazioni che amano il fiume Chiese, altra realtà che anima la protesta. «La soluzione da noi sostenuta», continua Ruzzenenti, «spinge i Comuni bresciani del Garda a fare l’adeguamento e la separazione delle reti fognarie, per cui alla depurazione sarebbero conferite esclusivamente le acque nere, mentre le portate pluviali e quelle parassite andrebbero a lago, facendo sì che in prospettiva basterebbe la nuova condotta mentre le altre due più vetuste sarebbero dismesse».

LA PROTESTA HA IL SUPPORTO ANCHE DELLA RETE Basta Veleni, secondo la quale la questione è il paradigma di tutte le violazioni che vengono fatte ai danni dell’ambiente per interessi privati. «Non devono esistere territori di serie a e di serie b», dice Raffaela Giubellini, fra le organizzatrici di un presidio che è diventato una sorta di laboratorio civico molto attraversato dalla cittadinanza che ha risposto anche al desiderio di incontro e confronto penalizzato dalla pandemia. Ed è stato nel corso di uno di questi incontri, un ’assemblea pubblica che ha visto la partecipazione di più di 100 persone, che è arrivata la decisione naturale di implementare la protesta: sabato 11 settembre a Brescia si scende in piazza.