Il termine inglese firebrand (agitatore) sembra essere stato coniato per Tariq Ali. Classe 1943, da studente sosteneva contraddittori con Henry Kissinger, ispirava canzoni ormai classiche agli Stones e John Lennon, diventava confidente di Malcom X, e potremmo continuare.

Da leader del ’68 – all’epoca in forza a un trotzkismo permanentemente rivoluzionario – è poi diventato un intellettuale pubblico, tra i fondatori della New Left e autore di una ventina di libri fra saggi, drammi, romanzi. Il fatto che poi, in Gran Bretagna – terra degli empiristi pragmatici per eccellenza – la parola «intellettuale» sia vista con sospetto trova conferma nel suo essere pakistano di nascita. Al suo libro dell’anno scorso, The Extreme Centre, requisitoria politica di un partito laburista stretto in un patto scellerato col grande business, ha appena fatto seguito una lunga analisi del fenomeno Jeremy Corbyn sulla London Review of Books.

Nella sua casa di Highgate, non lontano da dove è sepolto Marx, parliamo di Corbyn, di Brexit, di socialdemocrazia europea e del nuovo sindaco laburista della capitale, Sadiq Khan.  

11europa1 Ali__Tariq_4

 Mr Ali, l’elezione di Sadiq Khan a sindaco di Londra ha strappato applausi a scena aperta nelle tribune liberal.
L’elezione di un sindaco musulmano a Londra, figlio di un autista d’autobus di prima generazione, ha attirato molta attenzione. Hillary Clinton ne è entusiasta, e così Manuel Valls. La ragione è che Khan è un blairiano e profondamente ostile a Corbyn. I tories gli hanno mosso una campagna cattiva e razzista che si è trasformata in un sensazionale boomerang. L’ex presidente del partito conservatore, la baronessa Warsi (anche lei figlia di un immigrato pakistano autista d’autobus) l’ha criticata duramente. L’attuale ministro conservatore per il commercio (Sajid Javid, ndr) è anche lui figlio di un autista d’autobus pakistano. Le origini di classe non influenzano automaticamente la politica. E Khan è già diventato il portabandiera della destra Labour.

E invece l’elezione del compagno Corbyn chi se la sarebbe mai aspettata? È stato un modo per il Labour per disintossicarsi da Tony Blair?

Nessuno naturalmente, tantomeno lui. La prima volta che lo incontrai dopo la sua elezione mi abbracciò e mi disse: “Ma tu avresti mai immaginato che un giorno sarei diventato il leader del partito laburista?” Risposi di no. E lui: “Nemmeno io!” Non avevamo considerato non tanto la rabbia dei giovani, quanto il desiderio di sentire qualcuno nel partito laburista che parlasse per loro. Nel mondo anglofono si è creato questo fenomeno: Corbyn in Gran Bretagna e Sanders negli Stati uniti, sessantenni che attraggono più giovani degli altrettanto giovani e telegenici candidati ufficiali dei rispettivi partiti. Ero convinto che Blair avesse il partito ancora completamente sotto controllo. Invece, importare l’americanata delle primarie pensando di attirare i moderati ha provocato esattamente il contrario. 200.000 nuovi iscritti al partito laburista sono una cosa assolutamente stupefacente. La cosa eccezionale avere il leader più a sinistra del partito in un momento storico in cui delle politiche modestamente socialdemocratiche sono considerate poco meno che delle eccentricità. Tutto dipende dalla mobilitazione giovanile qui, in America e in tutta Europa. Mi chiedo che cosa aspettino i giovani francesi e italiani a mobilitarsi quando la loro vita è un chiaro prodotto della crisi e dell’assoluta incapacità dei loro leader di risolverla.

È la prima volta in tempi recenti che un partito socialdemocratico ha vissuto il rivolgimento di un grosso movimento politico e sociale che vi fluisce trasformandolo dall’interno.

Qualcosa che non è successo in nessun’altra parte d’Europa. In Italia c’è il Movimento Cinque Stelle, in Grecia c’è Syriza che è implosa, in Spagna vedremo cosa succede con Podemos, in Germania Die Linke, in Scandinavia vari altri partiti. E dall’altra parte c’è soltanto un’estrema destra che continua a rafforzarsi, mentre qui è stata fino adesso debole: a parte il fenomeno Ukip, che è diverso da Le Pen: sono soprattutto conservatori di destra scontenti e lettori del Daily Mail.

Non sono stati recepiti i segnali del referendum scozzese di due anni fa, quando il 55% votò No all’indipendenza?

Il terremoto politico scozzese ha avuto un effetto notevolissimo qui in Inghilterra, dovuto alla totale mancanza di un’alternativa politica mainstream. Nessuno è stato capace di riconoscerlo, né i laburisti né i conservatori. L’afflusso di giovani accorsi a votare al referendum scozzese è stato gravemente sottovalutato. E quando si muovono, i giovani cambiano veramente le cose.

La Gran Bretagna ha da sempre il partito socialista più moderato d’Europa, monarchico e già filo-colonialista. Con Blair ha sdoganato il neoliberismo nella sinistra europea. Si sta forse redimendo indicandole un nuovo ritorno alla socialdemocrazia, ora che il giocattolo dell’economia si è rotto?

Quello che è successo nel partito laburista riflette molte cose: prima di tutto che non c’è granché d’altro, l’estrema sinistra ha commesso un suicidio politico. E poi c’è un sistema elettorale che rende assai difficile l’esistenza di un terzo partito. La cosa incoraggiante è la presenza dei giovani, che ho notato per la prima volta in trent’anni, in un periodo durante il quale la politica, non soltanto la politica mainstream, si è atrofizzata. Blair non ha fatto altro che continuare il thatcherismo, legittimandolo col sorriso. Ma a dargli la sua aura in tutta Europa sono state le sue tre vittorie. “Così possiamo vincere anche noi, abbandonando il passato,” si dissero i vari leader che lo ammiravano, Schroeder, Veltroni e perfino Hollande. Ricordo con orrore Walter Veltroni qualche anno fa usare lo slogan di Obama Yes we can in una piazza romana. Dopo la crisi del 2008 il modello mediatico di Blair, la sua disinvoltura con le celebrità, il suo vincere senza sforzo sono diventati impossibili. Il blairismo è stata un’operazione estremamente abile ed efficace, c’è voluto molto tempo perché apparisse per quel che era.

Corbyn è il leader più a sinistra che il partito laburista abbia mai avuto in tutta la sua storia. Cercheranno di eliminarlo prima delle elezioni?

Non credo che la base del partito lo permetterebbe. Con quel mandato lui non ha certo intenzione di lasciare. E più rimane, più diventa difficile liberarsene. Tutto dipende da quello che succederà nel 2020, se vincerà o no. Il bello è che il suo programma, che in realtà è moderatamente socialdemocratico, sembra estremista. Ricordo che in uno dei suoi recenti discorsi, Jeremy disse che il partito avrebbe abolito le tasse universitarie reintroducendo l’istruzione superiore gratuita. Gli studenti gli si fecero attorno sbigottiti, chiedendogli se veramente un tempo non ci fossero state tasse universitarie.

La special relationship con gli Usa è il cardine della politica estera britannica e tra le cose che distanzia maggiormente Corbyn da molti parlamentari laburisti.

La cosiddetta special relationship è uno straordinario costrutto mito-ideologico. Per questo il dibattito sul Trident (il rinnovo dell’arsenale nucleare, motivo di netta rottura fra Corbyn e il partito parlamentare, Plp, ndr) sarà estremamente importante. Se la maggioranza del Plp sostenesse Corbyn sarebbe un importante punto di svolta. Cambiare indirizzo in politica estera è qualcosa che nessun leader laburista ha mai tentato. Attlee e Bevin (rispettivamente primo ministro e ministro degli esteri nel primo governo laburista del secondo dopoguerra, ndr) furono fieri sostenitori della Nato e del bombardamento su Hiroshima.

A questo proposito, nel suo recente saggio sulla London review of books, lei ha definito come “in mala fede” (disingenuous) l’applauditissimo discorso in parlamento con cui Hilary Benn (deputato laburista, ex ministro degli esteri ombra) giustificava i bombardamenti in Siria.

Veramente lo avevo definito “raccapricciante e moralmente disgustoso.” Avevo anche aggiunto quanto fosse spassoso vedere i conservatori applaudire quei passaggi che citavano Hitler e la guerra civile di Spagna, quando i loro stessi nonni o genitori erano stati appeasers. Tutti i loro predecessori erano stati sostenitori di Franco.

Come vede la questione Brexit, così trasversale dal punto di vista politico?

Credo che vincerà di stretta misura chi vuole rimanere, e poi ci sarà un forte aumento dell’euroscetticismo, un po’ come in Scozia con il separatismo. Da internazionalista, considero l’istituzione europea fondamentalmente non democratica. Tutte le antiche speranze che l’Unione Europea diventasse una federazione socialdemocratica capace di resistere allo sconfinamento statunitense sono tramontate da un pezzo, lasciando spazio a un allargamento geopolitico indiscriminato dettato dagli americani. Oggi l’Ue non è che un apparato per la rapida diffusione del neoliberismo, talvolta con metodi pressoché autoritari, basta vedere come sono intervenuti in Grecia, Irlanda, Portogallo, e anche in Italia. L’ironia è che sin dall’avvento del thatcherismo c’è stato un grosso spostamento della linea del partito laburista a favore dell’Europa unita. Storicamente il movimento laburista era contrario all’Ue, la considerava un’unione bancaria: la tesi opposta era che la si potesse cambiare dall’interno, rendendola socialmente più equa. L’Ue sarebbe poi puntualmente divenuta dominio dei banchieri. Ma quando Thatcher salì al potere, i sindacati divennero filo-europeisti. Oggi quei tempi sembrano molto lontani, la Scozia vuol usare l’Unione Europea con un ponte per uscire dal Regno, e quindi in grande maggioranza voterà per la permanenza. Quello che succederà in Inghilterra sarà dunque decisivo. Con l’uscita allo scoperto di Boris Johnson, il partito conservatore è ormai alla guerra civile. Corbyn è personalmente contrario sia all’Ue che alla Nato, cose impossibili da far digerire alla componente parlamentare. Concederà un voto secondo coscienza. Lasciare l’umore anti-Ue in monopolio alla destra è secondo me un errore: il vero problema in molte parti d’Europa è il fallimento della sinistra nell’opporsi a certe politiche dell’Ue. Personalmente, sono per uscire dall’Europa per ragioni del tutto opposte a quelle della destra.