Al di là delle dichiarazioni di rito, l’ennesima vittoria elettorale di Viktor Orban preoccupa la maggior parte della capitali europee. La riconferma del premier magiaro rappresenta infatti non solo il consenso degli ungheresi al rifiuto delle politiche di accoglienza dei migranti decise da Bruxelles, ma rischia di dare nuova energia al tentativo di Orban di arrivare a una riforma del l’Unione europea che affidi sempre più poteri ai singoli Stati.

Per avere un’idea più precisa di quanto stia bollendo nel laboratorio nazionalista ungherese basterà aspettare il prossimo mese di maggio, quando a Budapest si terrà la conferenza internazionale indetta dal governo, presidente di turno del gruppo Visegrad (oltre a Ungheria, Polonia, repubblica Ceca e Slovacchia) non a caso intitolata «Il futuro dell’Europa». Tra i cinque temi sui quali i partecipanti saranno chiamati a esprimersi figurano lo «Scontro di culture in Europa» e «Migrazione, reinsediamento e futuro dell’Europa» con domande del tipo: «La creazione di un nuovo uomo europeo è realistica attraverso la migrazione?». Oppure: «Dobbiamo sacrificare il cristianesimo, la libertà e il nostro modo di pensare?». L’elenco degli invitati è ancora in via di definizione ma sembra scontata la presenza tra gli altri di rappresentanti delle destre europee e non solo. Tra i nomi quasi certi c’è quello di Milo Yiannopoulos, classe 1984, ex senior editor del sito Breitbart News di Stephen Bannon e volto dell’estrema destra razzista e misogina americana.

Per quanto riguarda i migranti è chiaro che l’affermazione di Orban, insieme al successo ottenuto in Italia dalla Lega e M5S (non a caso ricordato dal premier ungherese) rafforza ulteriormente il fronte di quanti si oppongono a una redistribuzione in Europa dei richiedenti asilo. La Bulgaria, presidente di turno dell’Ue, ha già annunciato una bozza di riforma del regolamento di Dublino in cui i ricollocamenti non saranno obbligatori né automatici e nella quale si rispolvera il principio della solidarietà flessibile. Bozza che va in senso diametralmente opposto al testo approvato pochi mesi fa dal parlamento europeo e nel quale si abolisce finalmente il principio secondo il quale tocca al Paese di primo approdo farsi carico dei richiedenti asilo, come Italia e Grecia chiedono da anni. Fronte reso poi più forte anche dalla composizione del nuovo governo tedesco. Rispetto al passato, quando Roma e Atene potevano contare sul sostegno pesante della Germania, in futuro questo potrebbe non esserci più. Le ultime elezioni hanno portato al mistero degli Interni un duro come il leader della Csu bavarese Horst Seehofer, uno che non ha mai digerito la politica delle porte aperte attuata dalla cancelliera Merkel.