Sono bastati due anni di governo Temer perché il Brasile disperdesse tutto il prestigio accumulato a partire dal primo mandato presidenziale di Lula nel 2003. Dal colpo di Stato parlamentare-giudiziario-mediatico realizzato nel 2016 contro la presidente Dilma Rousseff – e giunto a compimento con la condanna di Lula (senza prove) a 12 anni e un mese di reclusione per corruzione e riciclaggio e ancor più con il suo (incostituzionale) arresto il 7 aprile scorso – il Paese appare sempre più allo sbando, tenuto sotto sequestro dalle forze golpiste e sprofondato in una crisi economica senza precedenti. Un Paese triste e sfiduciato, privato del pane – a causa del drastico ridimensionamento delle politiche sociali – e pure del circo – dopo lo scivolone registrato sul terreno della distrazione più cara ai brasiliani (quella calcistica).

Umiliato da un infimo indice di gradimento, ma aggrappato con le unghie al potere per paura che fuori dal Planalto lo attenda la galera, Michel Temer ha eseguito il lavoro sporco che gli era stato affidato: quello di avviare l’auspicata restaurazione neoliberista, sferrando micidiali attacchi all’educazione e alla salute pubbliche, ai diritti dei lavoratori e dei pensionati, ai contadini e ai popoli indigeni, ai beni comuni e agli ecosistemi. E condannando nuovamente il Brasile al ruolo di mero esportatore di materie prime senza valore aggiunto, a tutto vantaggio del capitale straniero.

Tuttavia, a meno di tre mesi dal primo turno delle presidenziali (fissate il 7 ottobre), la magistratura golpista – che, sotto la guida dell’inarrestabile giudice Sérgio Moro, è riuscita a rintuzzare, in un clima di crescente anarchia giuridica, tutti i tentativi di ottenere la scarcerazione di Lula – ha fallito nel compito essenziale di cancellarlo dalla scena politica.
Benché ancora in prigione, il «primo detenuto politico dalla fine della dittatura», come l’ex presidente è stato definito, risulta saldamente al primo posto in tutti i sondaggi con oltre il 30% delle intenzioni di voto, raccogliendo, da solo, gli stessi consensi di tutti gli altri candidati messi insieme. E se anche il tentativo di realizzare l’ultimo atto del golpe, quello di impedire la registrazione della sua candidatura il prossimo 15 agosto, dovesse avere successo, la forza di Lula è tale da poter comunque garantire la vittoria del candidato che egli vorrà indicare. E permettere così al Brasile di uscire dal labirinto in cui si è smarrito.