In questo periodo dell’anno, la newyorkese Herald Square è sinonimo di Thanksgiving. Ma, dileguatisi i palloni giganti e le folle di turisti venute a festeggiarli nonostante le temperature sottozero di giovedì, ieri mattina la piazza di fronte al grande magazzino Macy’s diventava teatro di una marcia di diversa. Una marcia di protesta contro Amazon e il suo imminente arrivo in città. La marcia, di pochi isolati, non è un caso isolato: attivisti, residenti e persino qualche politico locale –tra cui Alexandria Ocasio Cortez, stanno cercando di costruire un’opposizione all’inevitabilità dell’affare. Almeno così com’è stato presentato al pubblico.

L’annuncio, la settimana scorsa, che la compagnia di Jeff Bezos aprirà due nuovi quartier generali, uno a Queens e l’altro in un sobborgo di Washington in Virginia, a New York non ha infatti procurato i salti di gioia che il governatore Andrew Cuomo e il sindaco Bill de Blasio (acerrimi nemici, qui insolitamente alleati) forse si sarebbero aspettati. In una città dove la disoccupazione è ai minimi storici e la concentrazione di miliardari elevatissima, i 25.000 posti di lavoro promessi dall’uomo più ricco del mondo, in cambio di 1.7 miliardi di dollari in sussidi fiscali e quasi un secondo miliardo di altre riduzioni fiscali della città, non è sembrato l’affare del secolo. Anzi.

La geniale urbanista Jane Jacobs chiamava i matrimoni tra governi locali e grosse aziende private, come quello tra New York e Amazon, degli «ibridi mostruosi» , spesso disegnati per massimizzare i proventi delle imprese ai danni di residenti, lavoratori, piccoli commercianti e dei più deboli . Dopo tre mandati di Michael Bloomberg al municipio e un mandato di De Blasio, che non ha invertito la tendenza, New York è una città che sta cannibalizzando se stessa e i suoi residenti in un flusso di gentrificazione indiscriminata che installa ovunque lussuose torri di condomini e, allo stesso tempo, grazie agli affitti stratosferici imposti con l’arrivo dei nuovi edifici, si lascia alle spalle isolati pieni di negozi deserti anche nei quartieri più abbienti, in cui scompaiono funzioni locali della vita di tutti i giorni come il verduriere, il ciabattino, il macellaio, il ferramenta.

Long Island City, il quartiere di Queens dove dovrebbe installarsi Amazon, tra il 2010 e oggi ha aggiunto 12.000 appartamenti disposti in asettici grattacieli di vetro. Altri 9.000 sono in costruzione. Trattandosi di una zona industriale, «giù in strada» scarseggiano negozi, ristoranti, supermercati e servizi vari, ma i nuovi residenti –attratti dalla vicinanza a Manhattan, dove lavora la maggior parte di loro – non pensano che sia un problema. Specialmente se il condo ha la sua lavanderia e la sua palestra –la spesa può arrivare su un furgoncino di Fresh Direct, o un altro di quei servizi a domicilio che ti consegnano quello che vuoi dove vuoi, basta ordinare online.

Poco importa se – come in un romanzo di Ballard o in un film di Romero – non sai nemmeno chi vive nella torre vetrata di fianco e se intorno a te non c’è nulla della magnifica street life della Queens multietnica ritratta da Fred Wiseman in In Jackson Heights. Agli imprenditori che si arricchiscono grazie a quest’inarrestabile epidemia di sviluppo industrial immobiliare, Bloomberg non ha mai chiesto niente in cambio. Anche De Blasio, pensa che più prestigiosa è l’impresa, più prestigio va alla città. Perché, invece di offrire sconti fiscali e una pista d’atterraggio per l’elicottero, Cuomo e il sindaco non hanno chiesto a Bezos di staccare qualche assegno per aggiustare la metropolitana vacillante, rimettere a posto gli aereoporti impresentabili, ripulire i parchi? Perché la logica non dovrebbe essere: cosa può dare NY ad Amazon, bensì cosa Amazon può dare a New York.
Ed è indubbio che, nella città di Jane Jacobs l’arrivo del King Kong dell’e commerce è sbagliato sotto tutti i punti di vista. Non ultimo quello simbolico.

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