Per il governo Renzi la vertenza Whirpool arriva nel momento peggiore. A parte il rischio di perdita di voti nelle vicine regionali – si vota sia in Campania che nelle Marche, le due regioni più colpite dagli annunciati esuberi – il governo era in piena campagna mediatica per dimostrare i successi del Jobs act. Ed ecco che la multinazionale americana con i suoi 1.350 esuberi smacchia il candore dei – presunti – nuovi posti di lavoro post articolo 18, dimostrando come la crescita sia ancora una chimera e le crisi aziendali sono sempre all’ordine del giorno.

Se solo la poca avvedutezza di Renzi poteva portarlo a definire «fantastica» la fusione fra due grandi gruppi globali (Indesit e Whirpool) che in Italia hanno produzioni simili, le conseguenze nefaste delle nuove acquisizioni estere nel Belpaese rischiano di essere solo all’inizio.

Agli elettrodomestici seguiranno presto i treni (con metropolitane e carrozze). Sebbene la giapponese Hitachi non abbia stabilimenti in Italia, la sua acquisizione di Ansaldo Breda – assieme al gioiello della segnaletica Ansaldo Sts – produce doppioni industriali che mettono a rischio i posti di lavoro di Pistoia, Reggio Calabria e Napoli, per un totale di 1.974 dipendenti che entreranno nella newco di prossima propietà giapponese.

A breve sarà organizzato un incontro informale con il vertice di Hitachi che ha avanzato la proposta di acquisto delle aziende del settore ferroviario. E il copione pare uguale a quello Whirpool-Indesit. Così come la tempistica: qualche mese per preparare il nuovo piano industriale e magari avvertire il governo della «scelta inevitabile» dovuta «alla razionalizzazione» e «integrazione degli stabilimenti».

Basta poi citare il caso dell’Alenia a Capodichino per capire come Finmeccanica sta svendendo il settore civile. E se su Whirpool ed Fca il governo pare impotente, su i piani di Moretti e De Gennaro è correo e responsabile. La dizione «politica industriale» è scomparsa da una decina di anni e ormai le aziende di proprietà pubblica non hanno alcuna remora a lasciare i propri lavoratori in balia del mercato globale pur di raccattare milioni per fare da toppa a buchi dovuti in gran parte alla corruzione e a scelte manageriali quanto meno inadeguate. Il tutto accanendosi sul Sud ed in particolare sulla Campania, allargando la desertficazione industriale nel mezzogiorno.

Il ragionamento rischia poi di allargarsi alla vecchia Fiat e alla nuova Fca che ha appena salutato l’Italia tenendo la prima assemblea in Olanda. La cortina fumogena del «bonus» e della «partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali» potrebbe essere presto squarciata dagli effetti dell’alleanza globale che Marchionne punta ad ottenere a breve per sopravvivere sul mercato mondiale. Se sarà Gm, gli ex nemici di Volkswagen o un gruppo asiatico (Mazda), il rischio di «sovrapposizioni di stabilimenti sugli stessi segmenti» è dietro l’angolo. Portando a numeri di esuberi da far impallidire i pochi nuovi contratti a tutele crescenti.