Si allunga la lista degli ostaggi, nelle mani dei jihadisti dello Stato islamico (Isis), brutalmente decapitati, come se fossero truppe di terra di un Occidente scioccato più da un video che da undici anni di conflitto in Iraq. Questa volta l’orrore ha colto gli inglesi dopo la diffusione delle immagini della decapitazione del quinto ostaggio nelle mani dell’Isis, il volontario Alan Henning. L’uomo, 47 anni, era ostaggio dei jihadisti da nove mesi. Al vaglio della polizia inglese, ci sarebbe un secondo video diffuso venerdì in cui un jihadista a volto scoperto, Abu Saeed al-Britani, 27 anni, invita i musumani britannici alla jihad.

L’assassinio di Henning è un crimine «abominevole, insensato e imperdonabile». Così ha espresso il suo cordoglio il premier inglese David Cameron. Eppure, il cognato di Henning ha denunciato che il governo britannico avrebbe dovuto fare di più per liberare l’ostaggio. Anche due tedeschi, Stefan Viktor Okonek e Henrike Dielen, nelle mani dei jihadisti del gruppo Abu Sayyaf nelle Filippine temono la stessa sorte. «La situazione diventa ogni giorno peggiore», ha detto la donna rapita. L’ostaggio è anche preoccupata per suo marito, 74 anni, cardiopatico, rapito insieme a lei lo scorso aprile, e che non riceve le medicine necessarie. Due giorni fa i terroristi, simpatizzanti dei miliziani dell’Isis, hanno chiesto un pagamento di 4,4 milioni di euro in cambio della libertà dei due tedeschi. Con Henning, salgono a cinque gli ostaggi occidentali decapitati dall’Isis. Dopo il giornalista Usa John Foley, il reporter inglese Steven Sotloff, il cooperante britannico David Haines, e la guida Hervé Gourdel, preso in ostaggio in Algeria. Alla fine del video della decapitazione di Henning, appare un altro rapito, il giovane statunitense Peter Edward Kassig. I suoi genitori, di Indianapolis, Ed e Paula, hanno confermato la scomparsa del giovane, che si sarebbe convertito all’Islam, dallo scorso ottobre in Siria.

Lo Stato islamico (Isis) ha già ottenuto successi in Iraq e Siria fabbricando storie orribili di violenza efferata. Ogni gruppo locale della galassia dell’Isis ha il suo moderatore e il suo account Twitter, Facebook e YouTube. Per esempio l’Isis a Niniveh pubblica le notizie rilevanti dell’area oltre ad immagini di propaganda della quotidiana riscossione delle imposte, ecc. Insieme agli account dell’Isis, ci sono centinaia di account privati, seguiti da migliaia di utenti. Servono a diffondere la propaganda dell’organizzazione sia per intimorire i nemici sia per reclutare nuovi seguaci. Queste produzioni sono racchiuse sotto l’ombrello Al-Furqan Media che regolarmente posta audio, video e documentari dal titolo «Messaggi dalla terra delle battaglie epiche». Il gruppo Al-Furqan lavora anche a trasposizioni video dando l’opportunità agli utenti di vedere e leggere tutte le produzioni audio e video del gruppo radicale.

Per creare l’immagine fittizia che l’Isis si trovi dovunque, lo scorso agosto, una foto di una bandiera dello Stato islamico che sventolava sulla Casa Bianca è diventata virale su Twitter con l’hashtag #AmessagefromISIStoUS. Pochi giorni dopo la morte di Foley, un video su YouTube dal titolo «Un messaggio al popolo americano» della Al-Miqdam Productions mostrava foto di bare coperte dalla bandiera a stelle e strisce con una didascalia che diceva: «Questo è ciò che accade dovunque voi siate, se ci bombardate». YouTube ha subito dopo rimosso il video perché violava le sue politiche contro le immagini violente. Lo stesso «califfo» dell’Isis al-Baghdadi ha fatto la sua comparsa con una foto su Twitter prima che un suo sermone venisse diffuso su YouTube. Questo ha confermato di nuovo la strategia sofisticata di comunicazione che usa l’Isis e la sua estrema dipendenza da queste tecniche per convogliare i suoi messaggi e lanciare la sua propaganda. Questo significa che, usando le stesse strategie di un movimento la cui forza è stata in molti casi sopravvalutata, con un controllo preciso sulle sue attività mediatiche, l’Isis potrebbe essere sconfitto e messo in un angolo ancor più efficacemente che con le bombe. Eppure i media di tutto il mondo sembrano andare nella direzione opposta continuando a mostrare i video della propaganda dei jihadisti.