Trentasette anni, barese trapiantato a Torino, musicista di livello internazionale (migliore jazzista emergente nel 2006-’07 per la rivista americana down beat), il trombonista Gianluca Petrella è stato uno dei protagonisti dell’estate 2013: un tour negli Usa con il gruppo Tribe di Enrico Rava e la registrazione di un album live al Birdland di New York (prodotto da Ecm); la direzione artistica del festival Bari in Jazz; l’uscita del cd Il Bidone. Omaggio a Nino Rota (Spacebone Records); un altro album in arrivo con il pianista Giovanni Guidi che sarà allegato al mensile Musica Jazz.
Prima che riprenda la sua attività concertistica (dal 1° al 27 settembre con tappe a Veruno, Amsterdam, Bruxelles, Antwerp, Essen, Rotterdam ed Istanbul), abbiamo intervistato il trombonista per un temporaneo bilancio di questa intensa stagione.

Partiamo dal tuo album dedicato a Nino Rota, punto di arrivo di un lavoro biennale.
C’è una formazione, a cui sono particolarmente legato, ed è quella del progetto su Nino Rota e del nuovo disco  Il Bidone. Il settetto ed il progetto sono nati due anni fa grazie ad un’idea dell’associazione I-Jazz, un pool di organizzatori e promoter. Mi hanno indirizzato verso Rota visto che allora cadeva il centenario della nascita; è stato direttore del conservatorio di Bari, non l’ho mai conosciuto – ero troppo piccolo – ma frequentando in seguito quell’istituzione (Petrella vi si è diplomato nel 1994, n.d.r.) si parlava sempre di lui, aleggiava la sua figura. Mi erano note le musiche di Rota prima del progetto ma non avevo ascoltato le sue tante composizioni «sommerse», opere di pura avanguardia scritte per orchestra, partiture totalmente lontane dal quel Nino Rota che ha accompagnato i film di Fellini. L’album Il Bidone (che riprende in parte il «repertorio sommerso, n.d.r.) è prodotto dalla mia etichetta Spacebone che esiste da quattro anni perché sono per una totale autonomia artistica. Tutto ciò è un sacrificio enorme, anche in termini economici, perché fare un disco non è semplice: non si tratta solo di incidere ma anche di curare l’aspetto grafico, la logistica… È possibile acquistarlo on line (ITunes, Amazon, Ibs…) ed è un aspetto che segue la distribuzione, Egea. Il mercato discografico ormai è alla frutta, i negozi continuano a chiudere, anche la Fnac di Torino, il download stenta ancora a prender piede: ce n’è molto gratis, non a pagamento.

Parliamo del Petrella sideman, a fianco di Enrico Rava.
A capo del gruppo c’è Enrico, una persona che, nonostante i tantissimi anni di esperienza, continua a sfornare brani ed idee. Noi ci divertiamo a rielaborarle insieme a lui però, diciamo, tutto parte da Rava, il perno centrale di Tribe; fa abbastanza piacere vedere una persona di settantatre anni così attiva e non cristallizzata. Periodicamente fa una specie di rimpasto all’interno della formazione ma io sono nel gruppo da tempo.

Da musicista a direttore artistico di Bari in Jazz. Come si è rivelata quest’esperienza?
Mi sono limitato a organizzare la programmazione, a cercare di mettere in sequenza concerti belli che, allo stesso tempo, potessero attrarre l’attenzione del pubblico. La situazione più particolare, per farti un esempio, è stato il gruppo di Dimitri Grechi Espinoza, una diecina di persone con il loro afrobeat ma c’erano anche Martin, Medeski & Wood: più di venti dischi all’attivo, un concerto di qualità, un gruppo che guarda alla sperimentazione e all’improvvisazione anche radicale però, nello stesso tempo, è pieno di ‘groove’, funk. Il risultato è stato buono e, se si riceveranno finanziamenti per l’anno prossimo, verrà riconfermata anche la mia direzione artistica. É una delle poche manifestazioni, spiace dirlo, rimaste in piedi a Bari; oltre a Bari in Jazz, Festa dei Popoli e Acqua in testa in città non esiste più nulla, se non la programmazione del Petruzzelli. La Puglia ha un vivaio di musicisti straordinario ma sono gli spazi che mancano. Eppure il discorso che sta facendo Puglia Sounds è un buon esempio sia per i musicisti che per il pubblico perché alla fine si incentivano lo spettacolo e la cultura in generale.

Con Rava, Bollani, Fresu ed altri appartieni ai jazzmen più gettonati dagli organizzatori. Merito vostro a parte, perché non si dà più spazio al talento e alla ricerca?
E’  una diatriba che va avanti da tempo; ho organizzato per due anni con Giovanni Guidi lo Young Festival e lì sono passati tutti quei musicisti meno conosciuti che potrebbero suonare in qualsiasi festival senza problemi (Espinoza, Beppe Scardino, Emanuele Parrini, Tony Cattano…). Molti organizzatori non vivono assolutamente sul campo ed il pubblico dovrebbe perdere un certo spirito di omologazione ed andare a sentire anche artisti di cui non ha sentito parlare. Alcuni festival, dal corposo supporto a livello economico, hanno alla fine programmazioni di basso profilo, deboli. Siamo completamente lontani dal modo di pensare o di vivere la musica in Francia, in Olanda o in Germania. Non abbiamo nessun tipo di supporto da parte di chi dovrebbe istituzionalmente incentivare la crescita dei giovani musicisti.