Bacco, tabacco e venere riducono l’uomo in cenere. Così un vecchio adagio. Ben prima del celebre sex, drugs & rock’n’roll è stato il jazz ad incarnare il prototipo di musica dissoluta e ispiratrice di comportamenti eccessivi. Il fumetto popolare ne ha tratto ispirazione per le sue avventure e i suoi personaggi operando secondo i criteri propri del medium: stilizzazione e uso degli stereotipi prodotti dalla cultura dominante. In un quadro, come vedremo, di vorticosi cambiamenti politici e di costume e influenzato dal clima generale e dalle particolari condizioni editoriali.

La candida ferocia, tipica della letteratura favolistica, che Milt Gross (1895-1953) libera nel fumetto senza parole He Done Her Wrong del 1930 presenta una scena nella quale il protagonista piomba in una festa afroamericana a base di jazz. C’è una eccitazione nella furia cinetica dei suoi disegni che è eccitazione dei corpi. Corpi in perenne esaltazione elettrica (il nero eterno ballerino, come da tipico stereotipo bianco), ipersessualizzati (altro stereotipo), affamati di divorare lo spazio bianco della pagina. Lo spirito dei tempi come lo troviamo nelle scatenate comiche del cinema muto e nei cartoon: la vita a ritmo di jazz.

Il fumetto Usa delle origini, libertario ed eversivo, ha goduto di uno spazio di azione impensabile anni dopo quando, compresa la enorme capacità comunicativa, scattarono controlli sempre più stretti fino al famigerato Comics Code del 1954. Ispirato dal saggio Seduction of the Innocent dello psichiatra Fredric Wertham fu adottato in seguito a una furibonda campagna contro i fumetti con roghi pubblici, boicottaggi e una specifica Commissione del Congresso che mise alla gogna mediatica editori e fumettisti.

Nell’immediato dopoguerra scoppia l’isteria anticomunista che si abbatte come un tornado devastando le vite di migliaia di persone. I principali obiettivi della censura sono i mass media: televisione, cinema, radio e fumetti. Su questi ultimi, proprio perché estremamente popolari tra i ragazzi si concentra l’attenzione di legioni di fanatici religiosi e politici bigotti. Lo stile di vita statunitense sarebbe in pericolo, minato nelle sue fondamenta da comportamenti che lo distruggerebbero dall’interno per aprire le porte all’invasione comunista. Il cavallo di Troia potrebbe essere quel miscuglio demoniaco di droghe, pacifismo e libertà sessuale e l’ambiente del jazz ne costituirebbe l’ideale terreno di coltura.

RAZZISMO

La Seconda Guerra Mondiale è appena finita e già compare nella storia The Marijuana Murders!! (Dime comics # 28, 1946), la famigerata marijuana. Il fumetto è contenuto in un albo canadese ed è opera del disegnatore Jerry Lazare che vi mette la sua passione per il jazz nel personaggio principale: il batterista e bandleader di una orchestra swing Drummy Young , all’occorrenza investigatore. Sono passati pochi anni dal 1937 quando è entrata il vigore la Marihuana Tax Act – che rende illegale la marijuana – caldeggiata da Harry Anslinger, capo del Federal Bureau of Narcotics. Anslinger, un paranoico razzista, sosteneva che i consumatori di cannabis fossero messicani, ispanici, greci, filippini e afroamericani e che la sostanza inducesse a commettere violenze e omicidi. Dichiarò che «la marijuana è consumata da molti musicisti, non intendo buoni musicisti, ma jazzisti» e che «la loro musica satanica, jazz e swing, è il risultato del fumare marijuana» e «con questa inducono le donne bianche ad avere rapporti con loro». Ordinò così di sorvegliare e compilare dossier su artisti come Count Basie, Duke Ellington, Louis Armstrong, Cab Calloway.

Ma è nei fumetti romantici rivolti espressamente alle adolescenti che si concentra il fuoco della propaganda moralizzatrice. Nella storia I Was a Musician’s Girl (Sweethearts, 1954) la giovane pianista Louise viene ammaliata da un batterista di bebop che la inizia al consumo di marijuana. Dopo avere attraversato l’inferno della dipendenza (?) riuscirà a liberarsene e a ritornare ai sani principi e al «vero blues, pulito, dolce e puro». Vagli a spiegare che il musicista più noto del jazz di New Orleans, Louis Armstrong, era un consumatore abituale di spinelli e sembra impensabile che solo nel 1932 il disegnatore afroamericano Elmer Simms Campbell potesse ritrarre allegramente nella sua A Night-Club Map of Harlem, una magnifica guida alla vita notturna del quartiere, due persone intente a comprare marijuana con tanto di prezzo (venticinque centesimi per due canne). I Was a Musician’s Girl è probabilmente uno degli ultimi fumetti nei quali è ritratta una droga dato che il Comics Code lo proibisce espressamente a prescindere dal contesto e che questo divieto sarà superato solo negli anni Settanta. È interessante notare come in questa storia il jazz, oramai assurto al rango di musica nazionale e come tale accettato nel mainstream, venga gettato nella mischia del dibattito ideologico. Secondo questo fumetto ad essere pericoloso non è il jazz in quanto tale ma un certo tipo di jazz, in questo caso il bebop. La morale suona come un avvertimento: nelle pieghe di questa musica si annidano i disertori e i sabotatori dei principi genuinamente statunitensi.

DIPENDENZE

D’altronde in quegli anni il dibattito su jazz e droga è talmente caldo da arrivare sulle pagine di Playboy e le vicende biografiche di tanti suoi eroi scomparsi tragicamente non possono lasciare indifferenti. Le dipendenze di Charlie Parker e Billie Holiday – solo per fare i due nomi più conosciuti – riempiono le pagine dei giornali e delle riviste. Rimane innegabile che, al netto dell’ipocrisia proibizionista dei benpensanti e al mito dell’artista maledetto, l’uso di alcol e sostanze stupefacenti nel mondo del jazz ne costituisca un elemento costante quanto quello della promiscuità sessuale. Sulle pagine del quotidiano inglese Daily Mail nel 1956 l’episodio Paris Episode della serie Carol Day propone un apologo che mette in guardia contro l’abuso di alcol. Il chitarrista Mark conduce un’esistenza bohemienne nella Parigi delle jazz-cave.

Ha l’occasione di ritornare a Londra e esibirsi con il suo idolo Cuba Joe ma arriva ubriaco al concerto e viene licenziato. L’anziano musicista afroamericano però lo perdona e lo porta con sé negli Usa con la promessa di non bere più. Il tono moraleggiante è qui stemperato e grazie ai magnifici disegni di Richard Wright, sullo stile dell’Alex Raymond di Rip Kirby, la storia è davvero bella e godibile. Da rilevare inoltre come compaia ritratto un musicista nero nella figura di Cuba Joe. Sembrerà strano oggi ma in tutti i fumetti statunitensi qui presi in esame i jazzisti sono tutti bianchi. La segregazione nei comics Usa prima della stagione delle lotte per i diritti civili era impenetrabile. Un monito nei confronti di un certo stile di vita dei jazzisti lo propone la storia His Kind of Love (Love Diary, 1953) che presenta il clarinettista Skeets messo di fronte alla scelta tra una esistenza vagabonda passata a suonare per pochi penny in locali di infimo ordine e la tranquillità di un ingaggio sicuro in una orchestra di successo. L’esempio del vecchio musicista Binky Barnett ridotto in povertà lo convincerà per la seconda scelta rinunciando alla libertà dell’underground e ai baci e abbracci delle fan in favore del matrimonio e della famiglia.

Nel 1956 il poeta Allen Ginsberg pubblica Howl e l’anno successivo il suo editore Lawrence Ferlinghetti, anch’esso poeta, finisce sotto processo per oscenità. Il poema dà il via alla la stagione della Beat Generation. Anticonformismo, pacifismo, libertà sessuale e uso delle droghe costituiscono lo stile di vita dei beatnik descritti un paio d’anni dopo nel romanzo I sotterranei di Jack Kerouac, lo scrittore che più di ogni altro ne è stato il riferimento. «Voglio essere considerato un poeta jazz che suona un lungo blues in una jam session d’una domenica pomeriggio», dichiara Kerouac e infatti i beatnik adorano il jazz e in particolare i bopper come Charlie Parker. Da subito vengono derisi in una infinità di caricature nelle quali si ridicolizzano abbigliamento e acconciature (basco e pizzetto), l’indolenza e lo pseudo-intellettualismo. Un esempio è una scena ambientata in un locale del Greenwich Village di New York in The Return of Blob (1964) della serie X-Man creata dalla coppia Stan Lee e Jack Kirby, maestri del genere superoistico della casa editrice Marvel. I due mutanti Bestia e Uomo Ghiaccio si trovano nel bel mezzo di una performance di jazz poetry dove «i jazzisti sono così all’avanguardia che li licenzierebbero se qualcuno capisse la melodia» e il poeta recita »la sua lista della spesa». Dal sarcasmo si passa all’aperta ostilità quando ci si rende conto del potenziale sovversivo costituito da un movimento che rivela l’assurdità delle convenzioni sociali dominanti semplicemente ignorandole. La storia I Loved a Teen-Age Beatnik (Teen Age Romance, 1960) mette in guardia le lettrici contro il pericolo di frequentare i giovani ribelli mentre King of the Beatniks (The Flash, 1960) fa intravedere una possibile relazione tra quella controcultura e la delinquenza giovanile. Per la riabilitazione bisognerà attendere la saga superoistica Astro City creata da Kurt Busiek a partire dal 1995 per vedere all’opera l’agile e acrobatico Bouncing Beatnik con gli immancabili e distintivi basco, pizzetto e sandali.

SPIRITO LIBERTINO

Se la musica in generale è sempre stata vista come un potente dispositivo di seduzione erotica il jazz in particolare è stato fin dal suo apparire caricato di un esplicito contenuto sessuale. Non stupisce perciò che nel fumetto pornografico vi sia raffigurato il mondo del jazz. Le Tijuana Bibles, strisce a fumetti stampate e distribuite illegalmente a partire dagli Anni Trenta, se n’erano occupate con uno sguardo gioioso e libertino che ha più di una affinità con i blues e le song festanti del primo dopoguerra. Dato che spesso i protagonisti delle avventure erotiche erano i personaggi più popolari del cinema e dello spettacolo, oltre che dei fumetti in gustose parodie, non poteva mancare una stella del jazz e infatti il celeberrimo clarinettista e band leader Benny Goodman ha l’onore in Swing on This! di essere immortalato negli albetti vietati e proprio per questo veri oggetti di culto.

The Meaning of Jazz gioca sul doppio senso della parola jazz e non è difficile indovinare quale sia il senso del jazz mentre in Jitterbug Bug Contest at The World’s Fair le scatenate acrobazie del ballo jitterbug, divenuto immensamente popolare con l’imporsi dello swing a livello di massa, diventano altrettante acrobazie sessuali della coppia partecipante alla gara. D’altronde la rivista Noi uomini dell’Azione Cattolica definirà ancora nel 1957 il jazz «musica materialistica e dionisiaca»capace di eccitare «gli istinti e in definitiva la sensualità» suscitando la reazione sdegnata della Federazione Italiana del Jazz. Il connubio jazz & sesso anche in Italia ha insomma solide e durature radici che si riversano naturalmente nella abbondante produzione di tascabili pornografici che invadono le edicole negli anni Settanta e Ottanta. Tra le case editrici più attive in quella breve ma intensa stagione ci fu la Ediperiodici. In una delle sue testate, il pecoreccio/umoristico Casinella, l’episodio A ritmo di dixieland!, (1985) porta la ingenua protagonista nel locale Cane Giallo a New Orleans dove si suona dixieland, musica la cui sensualità indurrebbe i frequentatori a trasformarlo in un’orgia pubblica. Nel tripudio di peni eretti e sesso orale si intravede anche un cliente farsi di eroina.

SERBATOIO SOCIALE

Diverso è invece Sax endiablè dei transalpini Masèe e Stone (Bede s.M. numero 100). Qui la bella moglie lasciata sola dal marito in viaggio d’affari ascolta in un jazz club un anziano sassofonista che riesce a turbarla con la sua musica. La donna riceve una visita notturna da parte di un giovane sassofonista che si presenta come il figlio e riesce a sedurla con il suono del sax e si rivela dotato, ovviamente, di un enorme membro. La donna scoprirà non essere altro che il vecchio, che la musica ha il potere di ringiovanire e rinvigorire.

I comportamenti devianti rispetto alla morale dominante, nelle loro accezioni sia negative che positive, associati al mondo del jazz hanno però subito una radicale trasformazione nel corso degli anni. I jazzisti contemporanei hanno perlopiù da tempo abbandonato stili di vita dissoluti e pericolosi. Il profilo del jazzista attuale è quello di un artista socialmente e politicamente consapevole, attento alla qualità del vivere e spesso più interessato alla dimensione spirituale che a quella edonistica. Da musica anticonformista e portatrice perciò di turbamento e tumulto, il jazz ha acquisito nell’immaginario collettivo il ruolo di serbatoio di socialità, di valori positivi come il rispetto e l’ascolto reciproco. Nel mondo della società liquida e della crisi il jazz può diventare, come nel manga Sakamichi no Apollon di Yuki Kodama pubblicato tra il 2007 e il 2012 in Giappone, il luogo più adatto alla crescita dei suoi protagonisti adolescenti che grazie ad esso imparano a stare insieme e a maturare. Il jazz è per loro soprattutto un veicolo per trasmettere le proprie emozioni (amicizia, amore). Pur ambientata nel 1966 l’immagine che emerge del jazz è aderente alla visione odierna. La serie, che ha ispirato anche un anime per la televisione, è stata tradotta in Italia in nove volumi dalla Panini Comics-Planet Manga mentre aspettano ancora una edizione nel nostro paese i dieci volumi del pluripremiato Blue Giant di Shinichi Ishizuka che racconta le avventure di un ragazzo che mette tutto sé stesso per «diventare il sassofonista più grande del mondo». Visto il successo in Giappone è in corso di pubblicazione la continuazione delle avventure del giovane musicista Dai Miyamoto con la nuove serie Blue Giant Supreme. Non avrà più l’aura romantica delle vite disperate ma il jazz ha ancora il potere di collocarsi nel linguaggio immediato dei fumetti con una propria identità. Mutevole come lo è questa musica.