Tommaso Bobbio, storico dell’India contemporanea presso l’Università di Torino e autore del saggio «Urbanisation, Citizenship and Conflict in India: Ahmedabad 1900-2000» (Routledge, 2015) sui processi di modernizzazione e urbanizzazione della capitale del Gujarat, raggiunto telefonicamente da il manifesto, lega le proteste dei Patel alle contraddizioni del modello economico ultraliberista promosso dall’attuale premier indiano Narendra Modi. «Quello che sta succedendo in questi giorni nello stato del Gujarat è la dimostrazione dei limiti del modello di sviluppo portato avanti da Narendra Modi, il cosiddetto ’Modello Gujarat’. Un modello basato sull’esclusione, che taglia fuori dal benessere larghe fasce della popolazione».

Chi sono i Patel?
La casta dei Patel non fa parte degli «esclusi». I Patel sono a metà della classe medio bassa, in mobilità verso l’alto, e a parte casi minoritari di persone affermatesi politicamente o economicamente all’interno della casta, rimangono un poco al di sotto del benessere della classe media. Sono tradizionalmente piccoli proprietari terrieri impegnati nel settore agricolo, già dai tempi del Raj Britannico. Nel 1960, quando viene creato lo stato del Gujarat, prima parte integrante del Maharashtra, sfruttano l’apertura di possibilità di posti di lavoro nella macchina amministrativa statale e diventano impiegati statali, colletti bianchi, vantando una scolarizzazione non eccellente ma sopra la media. I Patel controllano il settore della lavorazione dei diamanti, specie nel distretto di Surat, e sono tra le comunità indiane della diaspora più numerose. I gujarati, dopo i sikh, sono la seconda comunità indiana all’estero, e molti di loro sono Patel, nel Regno Unito e negli Usa.

Cosa chiedono al governo del Gujarat?
Le richieste non sono nuove: o ci inserite nelle «Other Backward Classes» (Obc), oppure le eliminate. I Patel furono tra i primi, negli anni ’80, a mobilitarsi in Gujarat contro la politica delle quote. E il Gujarat, in questo senso, è tradizionalmente un laboratorio politico dell’India. Fino agli anni ’80, ad esempio, i Patel hanno sempre appoggiato l’Indian National Congress (Inc) dei Gandhi, ma furono loro, agli inizi degli anni ’70, a rovesciare il governo dell’Inc in Gujarat con un movimento anticorruzione. Il chief minister di allora, Chimanbhai Patel, era molto vicino ad Indira Gandhi: le proteste arrivarono fino a New Delhi e sono state tra le cause che portarono la stessa Indira a sospendere la democrazia in India col periodo dell’Emergency. Dopo l’Emergency, i Patel si spostano a destra e voteranno membri della propria casta eletti tra le fila del Bharatiya Janata Party (Bjp): prima e dopo Modi, in Gujarat, ha sempre governato un Patel. Le proteste di Ahmedabad hanno una rilevanza enorme, considerando che storicamente in Gujarat si sono affrontate questioni che dal livello locale si sono poi diffuse in tutto il paese.

Qual è il rischio politico per Modi?
Le manifestazioni in Gujarat dovrebbero ridimensionare il mito di Modi uomo al potere in grado di egemonizzare l’elettorato, di tenere insieme anime diverse sotto il suo progetto di sviluppo. Il fatto che economicamente le cose non vadano ancora così bene e che il suo stesso elettorato protesti sono il sintomo dei problemi che il governo Modi, anche a livello nazionale, ha di fronte. Un problema generazionale di giovani che, se le cose non cambieranno, non riusciranno a replicare l’ascesa sociale che invece riuscì ai propri genitori, nonostante la retorica del ’Modello Gujarat’.