Le armi chimiche colpiranno l’Europa. Su alcuni grandi media, i titoli suggerivano che la minaccia provenisse da Bashar al Assad, accusato di aver impiegato i gas, il 21 agosto. Le affermazioni del governo siriano sono state però di tenore diverso: «Abbiamo consegnato alle Nazioni unite le prove e i documenti che mostrano le responsabilità dell’opposizione e non dello Stato nell’uso di armi chimiche», ha dichiarato infatti il governo Assad, accusando gli Stati che vogliono la guerra di foraggiare i terroristi. Gruppi criminali che «presto, però, useranno armi chimiche contro i popoli europei. Confidiamo molto – ha aggiunto il governo siriano – che i popoli non permettano che continui l’appoggio a questi terroristi». Un intervento armato equivarrebbe a un sostegno esplicito ai ribelli siriani e all’armata quaedista. Obama è consapevole della minaccia al Qaeda e anche per questo, secondo alcuni analisti, vorrebbe tenersi lontano dall’intervento militare, già accettato obtorto collo per la Libia. Non sarebbe la prima volta che “il mostro” si rivolta contro il proprio creatore. D’altro canto, i falchi al suo interno e fuori fanno notare che lasciar passare senza conseguenze l’uso del gas annullerebbe il potere dissuasivo nei confronti dell’Iran. E che arrivare all’Iran e poi alla Russia, altro alleato di Damasco, varrebbe le conseguenze incalcolabili provocate dall’intervento armato nella regione. Damasco non è un produttore importante di petrolio, ma il conflitto potrebbe estendersi ai principali paesi che lo producono, come Arabia saudita e Iraq. Dal Medio oriente arriva circa un terzo del crudo mondiale, il cui prezzo potrebbe schizzare, e interferire pesantemente nell’economia mondiale. Anche nel 2006, per le tensioni fra Israele e Hezbollah, si verificarono importanti variazioni di prezzo, benché il Libano non sia determinante per gas e petrolio. Ma su chi ricadrebbero i costi di una nuova guerra (miliardi di dollari) in un paese come gli Usa, a fronte del suo enorme debito e dei laceranti problemi economici? Sugli Stati uniti pesa il grosso delle spese militari Nato e, com’è avvenuto per la Libia, i maggiori costi della guerra sarebbero a suo carico. Per questo, per quanto alcuni alleati scalpitino, la principale mossa spetta a Obama.

Intanto, si muovono armi e diplomazia. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha chiesto altri quattro giorni per le indagini degli ispettori che in Siria stanno cercando le prove a carico o a discolpa dell’attacco chimico. La Russia preme perché si trovi una soluzione politica durante incontri bilaterali al prossimo G20 in casa propria. Il presidente Assad si mostra calmo e promette di respingere le aggressioni militari. Secondo un ufficiale siriano, intervistato dal britannico Guardian, la Siria ha 8.000 kamikaze pronti a entrare in azione in caso di attacco straniero. Sempre secondo l’ufficiale, 13 piloti siriani avrebbero già firmato un impegno per far parte di «una squadra di martiri» pronti a distruggere aerei da combattimento Usa. «L’Iran e i combattenti di Hezbollah – ha aggiunto il siriano – sono al nostro fianco. Siamo l’asse di resistenza del mondo arabo».

Intanto, si moltiplicano le voci contro la guerra, soprattutto in America latina: «Un decennio fa abbiamo avuto l’intervento in Iraq e sarebbe deplorevole che si ripetesse in un altro paese del Medio oriente», ha detto il cileno Miguel Insulza, segretario generale dell’Organizzazione degli stati americani (Osa). No fermo anche dal Brasile e dall’Argentina, a cui questo mese spetta la presidenza provvisoria del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.