I rumors raccolti ieri da Stampa e Sole 24 Ore dicono che Sergio Mattarella, da sempre contrario, si starebbe rassegnando alla soluzione del decreto legge per armonizzare i sistemi elettorali di camera e senato. Eppure gli interventi necessari sono di tale portata che resta inaggirabile l’ostacolo della legge e della Costituzione che escludono decreti in materia elettorale. Resta la strada dei decreti ministeriali, quella «legislazione secondaria» che la stessa Corte costituzionale ha previsto perché siano effettivamente applicabili le sentenze che hanno mutilato il Porcellum (la legge per il senato) e poi l’Italicum (la legge per la camera). In ogni caso i rumors testimoniano bene il clima. Il lavoro sulla legge elettorale alla camera è circondato dallo scetticismo: a fine ottobre parte la sessione di bilancio e vuoi per necessità vuoi per opportunità sarà difficile mettere altro in calendario.

Eppure Matteo Renzi ha fatto sapere di essere pronto a un nuovo tentativo. O meglio a un tentativo, perché l’idea del Pd è quella di riproporre il testo cosiddetto «Rosatellum» – dal nome del capogruppo democratico alla camera. Uno tra i testi meno fortunati tra i tantissimi usciti dall’ufficio di Renzi nei mesi successivi alla sconfitta referendaria: il Rosatellum fu adottato come testo base dalla commissione in maggio, ma fu poi scaricato dallo stesso relatore Pd in favore del sistema para-tedesco. Sul quale la discussione si è arenata in aula, e siamo al punto di oggi.

Un passo indietro per farne due avanti si potrebbe dire, non fosse che la mossa di Renzi si ispira più alla marina borbonica che a Lenin: l’obiettivo è quello di fare un po’ di ammuina. Rispondendo così alle critiche della minoranza interna – ieri Orlando lo ha accusato di fare «melina» – e soprattutto venendo incontro alle richieste del presidente della Repubblica. Che considerando il decreto l’ultima spiaggia è rimasto in attesa dei tentativi parlamentari. Ma il Rosatellum, a suo tempo, piaceva soltanto al Pd e alla Lega (che votava allora qualsiasi cosa pur di velocizzare le urne). Il tentativo di adesso è quello di convincere Forza Italia perché sui 5 Stelle non si nutre alcuna speranza.

Come Pisapia, come Cuperlo, ma non come Bersani e D’Alema ormai convinti proporzionalisti, anche il ministro Orlando vede enormi rischi dalle due leggi a impianto proporzionale che sono attualmente in vigore. E così ieri ha annunciato una raccolta di firme per provare come la sua corrente di minoranza rappresenti in realtà la maggioranza del partito quanto alla richiesta di un sistema maggioritario. Iniziativa, visti i tempi, senza ambizioni concrete ma dal valore politico.

La proposta che il candidato sconfitto alle primarie ha pronta prevede il recupero dei collegi uninominali e il premio di maggioranza al 40%, insieme al ritorno delle coalizioni. A margine della sua iniziativa di ieri il ministro ha detto anche che, per stare sul pratico, la discussione in commissione dovrebbe ripartire dal Rosatellum, quello appunto che immagina Renzi. Il Rosatellum in effetti al di là della facciata semi proporzionale – prevedeva l’attribuzione del 50% dei seggi sulla base di liste proporzionali e del 50% sulla base delle sfide uninominali – è una legge fortemente maggioritaria.

Sembra un Mattarellum riequilibrato in favore della quota proporzionale (originariamente del 25%) ma non prevede lo scorporo, alza la soglia di sbarramento fino al 5% e soprattutto esclude la possibilità di voto disgiunto tra uninominale e proporzionale: un incentivo al voto utile.

Più importante ancora è la ricaduta di un sistema del genere sulle alleanze. Che con il Rosatellum sono sì incentivate a livello di candidatura uninominale, per concentrare i voti e aumentare le possibilità di successo in una sfida nei collegi che sarà sostanzialmente a tre (M5S, Pd. Destra). Ma non nella forma delle coalizioni rigide, perché le singole liste hanno interesse a riportare sul proprio simbolo il voto proporzionale. Il che sarà consentito da un trucco grafico: la ripetizione sulla scheda del nome del candidato nel collegio accanto a tutte le liste che lo appoggiano.

In ipotesi sia Alfano che Pisapia potrebbero sostenere lo stesso candidato uninominale del Pd, senza però farlo insieme. Alleati a mezzo servizio, pronti anche a dividersi in parlamento.