Chi a l’é cul lì? Ël Diav? E quello chi è? Il Diavolo? Fedeli in fuga spaventati, crocefisso a terra nella polvere, due o tre tonache a gambe all’aria. Aveva fatto irruzione in processione un omone vestito di rosso, coi baffoni a manubrio, oltretutto a bordo di un mezzo che Santa Madre Chiesa aveva, a suo tempo, scomunicato, in quanto strumento del diavolo. Aveva fatto irruzione in processione Giovanni Gerbi in bicicletta, e uno dei pochi preti rimasti in piedi lo aveva scambiato per Satanasso in persona.

Chissà cosa avrebbe detto Gerbi della tappa che arriva a casa sua, ad Asti; casa sua e di chi, Paolo Conte, lo ha cantato.

Il Diavolo Rosso sarebbe rimasto sconcertato, i corridori hanno inscenato un mezzo sciopero, perché piove e fa freddo, ieri si è arrivati tardi e stamani ci si è alzati troppo presto. E quindi corsa neutralizzata nei primi chilometri, trasferimento in pullman fino ad Abbiategrasso, e di lì la nuova partenza. Gente comune per la strada ad attendere il passaggio dei corridori rimasta a bocca asciutta.

La sensazione è che ci siano squadre che vengono al Giro solo per onor di firma, costrette dal sistema del protour. A rimetterci sono le piccole squadre locali, per le quali una partecipazione a un Giro organizzato per inviti sarebbe vitale.
Cosa avrebbe detto Gerbi? Gerbi che viveva di fango e fatica, di inganni e sotterfugi, di cattiverie inflitte e subite. Inflitte, quando i suoi seguaci, ad un giro di Lombardia corso quello sì in condizioni estreme, disseminarono di chiodi la strada dopo il suo passaggio. O in occasione della prima Milano-Sanremo, quando vistosi perso in una volata a tre, sbatacchiò fuori strada Garrigou, per poi spartirsi il bottino in denaro col vincitore Pétit-Breton.

Erano i tempi in cui il «fairplay», questa variante sportiva del politicamente corretto, non era giunto a mettere il ciclismo sotto formalina. Ma anche subite, quando dovette abbandonare il primo Tour per l’aggressione dei francesi a bordo strada.

La tappa risale la risaia e si avvia verso l’epilogo. Pure in questa vicenda di esaltante c’è ben poco.

C’è in ballo la maglia ciclamino, perdesse lo sprint con Sagan, Démare la vedrebbe messa in dubbio, e dunque la soluzione è quella di congiurare affinché lo sprint non avvenga. Così la squadra dello slovacco è la sola a battersi contro i fuggitivi di giornata, poi, non coadiuvata, desiste.

La compagnia degli evasi si screma via via, fin quando, ai meno venti, parte il ceco Cerny, e nessuno ha più fiato per riagguantarlo, se non dopo che ha già trionfato a braccia alzate.