Mai come negli ultimi anni la festa del primo maggio ha perso i caratteri di una ricorrenza rituale per assumere un valore politico e simbolico addirittura drammatico. Proprio in questi giorni abbiamo appreso dalla stampa che deteniamo in Europa il triste primato delle morti sul lavoro.

Ogni anno si verificano in Italia circa un milione di incidenti, un migliaio dei quali mortali. Una vera e propria guerra dove si perdono migliaia di vite umane come nei combattimenti che imperversano in Siria o in Libano. Uomini e donne si recano quotidianamente al lavoro per guadagnarsi da vivere, e vanno come a un fronte di battaglia, da cui possono non tornare a casa. E

il Sud è quest’anno l’area del Paese dove le cifre sono più alte, con Crotone in testa. Mentre primeggia tristemente, sempre tra i lavoratori, la città di Taranto per le morti provocate da tumori.

Naturalmente questo è l’aspetto statisticamente più tragico della condizione del lavoro oggi. Ma negli ultimi anni, proprio in tale ambito, sul piano del salario, dell’orario, delle condizioni materiali, della sicurezza, della precarietà occupazionale, dei diritti, si è assistito, all’arretramento sociale più grave che si sia mai verificato in età contemporanea. E’ il fenomeno più sconvolgente della nostra epoca.

Mentre le società diventano sempre più opulente e affogano nella spazzatura che non sanno più come smaltire, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, coloro che producono i beni materiali, gestiscono i servizi, mandano avanti la macchina della società, hanno perso quote rilevanti di sicurezza, tutela, reddito, welfare. Ma in certi casi il ritorno indietro ha tinte fosche.

Basti pensare a un fenomeno antico delle nostre campagne, scomparso da decenni, il caporalato – che assolda braccianti con salari da fame per i lavori agricoli – per rendersi conto che nel mondo del lavoro la storia è tornata indietro. Incredibile a dirsi nelle società luccicanti della pubblicità televisiva è ritornata la schiavitù, come documentato ripetutamente da inchieste dell’Onu e come ha illustrato in un saggio clamoroso a inizio secolo, Kevin Bales, I nuovi schiavi. La merce umana nell’economia globale, (Feltrinelli) che li valuta prudentemente in 27 milioni.

Se si vuole comprendere lo spirito profondo della nostra epoca, il tratto di autentica barbarie che ha invaso lo spirito del mondo, bisogna ricercarlo qui: nella crescente mortificazione del lavoro umano da parte di un capitalismo sregolato che non ha più di fronte se non deboli antagonisti in grado di fronteggiarlo con conflitti organizzati.

Perciò il Primo Maggio è oggi non solo una festa, ma un giorno politicamente rilevante, durante il quale occorrerebbe ricordare questo inaudito arretramento storico, questo passo indietro della civiltà e la drammatica necessità dell’unità e del conflitto anticapitalistico da parte di chi dovrebbe rappresentarli.

*Candidato nelle liste di La Sinistra