“Il più grande tifoso del Blackburn”. Di solito a campeggiare davanti alle tribune degli stadi britannici ci sono statue di campioni o allenatori del passato, ma Blackburn, in passato una delle città chiave della fiorente industria tessile del Lancashire, fa eccezione. E non poteva essere altrimenti. All’Ewood Park ad accoglierci a braccia spalancate e con un bonario sorriso sul volto, in una posa che ricorda tanto quella del leggendario allenatore del Liverpool Bill Shankly, c’è Jack Walker, il proprietario dei Rovers dal 1991 al 2000. Colui che da bimbetto, negli anni Cinquanta, slterreguiva la sua squadra del cuore dalle gradinate e che, una volta fatta fortuna, ha voluto regalare a se stesso e ai suoi concittadini l’ebrezza di un team che pareva uscito dritto dritto da una maratona notturna di fantacalcio (che in Inghilterra si chiama Fantasy Football, ma poco importa). Di umile origini, divenuto un magnate dell’acciaio si trasferì nel paradiso fiscale di Jersey per pagare meno tasse possibili, lasciando così la sua amata Blackburn. Quasi come in un film d’altri tempi, Walker decise però di regalare parte della sua ricchezza alla città d’origine aiutando la sua squadra del cuore, prima con munifiche donazioni per finanziare lavori urgenti per lo stadio, poi rilevando la proprietà del club, che per decenni era rimasto ai margini del calcio che contava.

Fu così negli anni Novanta i supporter del Blackburn si ritrovarono a esultare per i gol a frotte di Alan Shearer, provarono piacere fisico a vedere David Batty che sradicava palloni a destra e a manca consegnandoli al re del centrocampo Tim Sherwood, applaudirono fino a spellarsi le mani Colin Hendry che sbarrava con rudezza e decisione la strada agli attaccanti avversari e ancora si fecero venire i lucciconi agli occhi al solo pensiero che un’icona del Beautiful Game come Kenny Dalglish sedeva sulla panchina della loro squadra del cuore.

Il culmine di questa rapida ascesa fu raggiunto nella stagione 1994-95, quando i Rovers spodestarono dal trono della Premier il primo grande Manchester United targato Alex Ferguson. Fino al miracolo Leicester nel 2016, i Rovers sono stati gli unici a intrufolarsi nell’élite pallonara inglese.

La discesa è stata rapida e molto triste. Con Walker malato e di riflesso meno attento ai “bisogni” della squadra, dopo soli quattro anni dal trionfo in Premier il Blackburn dovette dire addio al salotto buono del calcio d’oltre Manica. Shearer aveva già salutato nell’estate del 1996, preferendo la sua squadra del cuore (il Newcastle) al Manchester United di Cantona e Beckham.

Nel 2000 Walker perse la sua battaglia con il cancro, senza riuscire ad assistere alla promozione, siglata nel maggio del 2001. Riposti nel cassetto i sogni di gloria, se si eccettua la vittoria in Coppa di Lega nel 2002, il Blackburn vivacchiò per poco più di un decennio in Premier, una sorta di preludio a un altro tonfo nella serie cadetta. Una diretta conseguenza dell’arrivo nella cittadina del Lancashire degli imprenditori indiani del settore della lavorazione della carne Balaji e Venkatesh Rao, con la loro Venky’s Limited Limited. Una vera iattura, anzi, a sentire i sostenitori dei Rovers, una catastrofe assoluta. Come dar loro torto: da quando sono nella stanza dei bottoni, i Rao non hanno imbroccato una decisione, aumentando il debito della società da 20 a oltre 100 milioni di sterline. Il tutto a dimostrazione che, se si esce dal cerchio ristretto delle big, non sempre gli investitori, stranieri o inglesi che essi siano, hanno una reale conoscenza del mondo del football, visto ormai solo come un potenziale “buon affare”.

Il Blackburn ha così conosciuto l’onta della terza serie, anche se solo per una stagione. Ora, da neo-promossa, sta disputando un discreto campionato nella difficilissima serie B d’oltre Manica.

È evidente che l’eredità più tangibile dell’epoca d’oro è un impianto, l’Ewood Park, per tre quarti così imponente e moderno da essere sovradimensionato per le attuali ambizioni della squadra. Poiché il restyling è datato anni Novanta, i tratti distintivi sono ancora molto britannici, con la classica forma rettangolare, le tribune a due piani e i piloni dell’illuminazione agli angoli. Solo la Riverside Stand, che come si può intuire ha alle sue spalle un corso d’acqua, l’Alum House Brook, sembra uscita dalle nebbie del passato. Piccola, vecchia e punteggiata da colonne a sostegno del decrepito tetto in acciaio ondulato, ha veramente poco a che vedere con il resto dell’arena. Un’asimmetria architettonica che ritroviamo anche nei pressi dell’Ewood Park. A complessi residenziali di recente fattura e piacevoli spazi verdi fanno da contraltare viuzze strette con delle case che ricordano gli slum descritti da Charles Dickens nei suoi immortali romanzi. Abitazioni molto malandate e vetuste che forse c’erano già quando il Blackburn Rovers giocò il primo campionato inglese, nel 1888-89, piazzandosi quarto, e che rappresentano una sorta di pro-memoria del declino post industriale di questo angolo d’Inghilterra. L’Ewood Park può ospitare fino a 31mila spettatori ma è ormai molto sovradimensionato, tanto che la media degli ultimi anni non arriva a 15mila presenze e il tutto esaurito non si registrava nemmeno durante le ultime campagne in Premier.

Il pessimismo cosmico che ha pervaso i tifosi dall’arrivo degli odiati fratelli indiani sembra essersi ridotto dopo la promozione dello scorso maggio. Nessuna delle persone con cui scambio due chiacchiere ha parole al miele per i Rao, ci mancherebbe, ma almeno nutrono fiducia nei giocatori e nel navigato manager Tony Mowbray, serbando la speranza che in qualche anno si possa concretizzare un ritorno in Premier – o che quanto meno arrivi un proprietario più affidabile. “È durata poco, ma almeno quando c’era Jack Walker ce la siamo goduta”, mi confessa un supporter più attempato e due passi dalla statua del più “grande tifoso del Blackburn”.