Difficile dire se, come sostengono alla Banca centrale di Danimarca, l’Ue abrogherà le sanzioni contro la Russia già tra un paio di mesi, oppure se queste seguiranno la crisi ucraina, lungo il pendio tracciato oltreoceano per l’assalto a Mosca. In tal caso, dice l’economista Usa Mark Weisbrot riferendosi al decreto firmato da Vladimir Putin lo scorso 6 agosto sulle «misure economiche speciali per garantire la sicurezza» della Russia, «non sarà così male per la Russia essere autosufficiente in termini alimentari, se gli Stati uniti hanno lanciato una nuova guerra fredda».

L’embargo russo sui prodotti alimentari – alla lista è stato aggiunto ora il pesce fresco, ma sono stati tolti alcuni latticini e vitamine – mette in ginocchio i produttori europei e danneggia americani, australiani, giapponesi. Però il Ministro dell’Agricoltura russo Nikolaj Fëdorov annuncia lo stanziamento di «alcune decine di miliardi di rubli» per lo sviluppo della produzione agricola nazionale, nello stesso tempo in cui Putin non esclude l’estensione dell’embargo a prodotti industriali se le sanzioni occidentali continueranno.

In ogni caso, come scrive Maxim Shalygin in «Forza minore. Dalla Russia con amore», la Russia è ancora pronta al dialogo con l’Europa e sembra invitare a non seguire «la scia politica degli Stati uniti», ma «ad aprire la produzione direttamente in Russia». Negli ultimi giorni, capi di Stato e imprenditori, cancellieri e caporedattori occidentali, hanno levato voci sommesse per dire che le sanzioni Usa-Ue e le contromisure russe «mettono a repentaglio l’economia» e, quindi, la «Ue non pianifica nuove sanzioni», anche perché, con le attuali, «per euromasochismo» la Ue «si è tirata la zappa sui piedi», mentre si è interessati a «rapporti ragionevoli e costruttivi» con Mosca.

Come scrive l’austriaco Wirtschafts Blatt, la Russia, «con il boicottaggio dei prodotti alimentari occidentali, ha colpito nel segno: l’agricoltura è un settore chiave della Ue». Al di là di questo, inquadrare la politica verso la Russia nei piani americani per conservare la propria supremazia mondiale, non è cosa che si possa pretendere dai leader occidentali che, sinora, hanno seguito docilmente le orme di Washington, anche sul fronte propagandistico ucraino.

Veronica Krasceninnikova, direttrice del Centro analitico «Russia oggi», basandosi sulle memorie di Roger Robinson (ex consigliere di Ronald Reagan), traccia un parallelo tra i piani americani che negli anni ’80 contribuirono al tracollo economico dell’Urss e la strategia di Obama verso la Russia. L’attacco reaganiano all’Urss consisteva in ostacoli alla sua esportazione di gas per minarne gli introiti in valuta; sanzioni contro i Paesi che continuassero a commerciare in tecnologia con l’Unione sovietica o a concederle crediti; e, dopo averne così diminuito le entrate, avviare la corsa agli armamenti per aumentarne le spese. In parallelo c’era la guerra ideologica.

Oggi Washington punta all’indebolimento e smembramento della Russia con sanzioni economiche, divieto di fornirle tecnologie minerarie e di perforazione, impedimenti alla costruzione del gasdotto «South stream».
Tra le attività sovversive ai confini occidentali: i cortei di Solidarnosc in Polonia hanno lasciato il posto ai mortai di «Pravyj sektor» in Ucraina; con Obama che, come Reagan, obbliga gli europei a seguirlo. Quali speranze ha la Russia, si chiede Krasceninnikova, di non finire come l’Urss? I passi più urgenti sono: stima dei punti deboli russi; valutazione delle misure che gli Usa adotteranno per colpirli e provvedimenti per neutralizzarle; cognizione di chi, in Russia, stia con Mosca o con Washington.

In questo senso, sembra che il citato editoriale di Maxim Shalygin sia orientato a insinuare un cuneo tra Washington e i suoi alleati europei, senza con ciò chinare la testa di fronte a Bruxelles: «l’Europa ha scelto il corso avviato dagli Usa. La Russia continua a considerare l’Europa proprio partner strategico, ma il punto di vista di Bruxelles non sarà più ritenuto così importante». Nel 2010 «Putin propose alla UE un’alleanza economica da Vladivostok a Lisbona» quale «unione di potenzialità in materie prime e capacità tecnologiche». La Russia, disse allora Putin «non è interessata a una frammentata Ue. Ma Mosca riconosce solo rapporti amichevoli e paritari e non consentirà che qualcuno conti sul fatto che noi, pur di mantenere questi buoni rapporti, dobbiamo sempre rinunciare a difendere i nostri interessi».

Nel 2014, sembra che l’Ue sia giunta ad approvare «l’idea di una comune economia; ma solo alle condizioni di Bruxelles. Vale a dire che la Russia, sull’esempio di Ucraina e Moldova, dovrebbe aprire completamente il proprio mercato e adeguarsi ai regolamenti dell’Unione Europea. E ciò si chiama «partnership amichevole». Per la salvezza della propria economia, continua Shalygin, «gli Stati Uniti cercano di subordinare l’economia europea a Washington. Ma a tal fine è necessario ostacolare l’obiettivo cinese di una «via della seta» in Europa, il cui percorso può transitare solo per Russia e Ucraina: per l’esattezza, in Crimea». Non è casuale che Majdan sia divampata proprio nel momento della visita di Yanukovich a Pechino. «In questo schema ecco l’ordine Usa di sgombero di Majdan. Ma il gioco viene rovinato agli americani dalla Crimea, che vota per l’unione alla Russia».

La cornice in cui si inquadra l’intero gioco sono dunque i timori americani per la perdita della propria supremazia economica – il dollaro americano ha perso dal 1999 l’80% del suo valore rispetto all’oro. Il primo passo sarebbe quello di attirare la Russia nella contrapposizione alla Cina, puntando su un cambio di potere a Mosca pilotato da Washington. Riuscirà il Cremlino a tagliare l’ossigeno europeo – come quello Brics – al degente americano?