Quando è cominciato davvero C]inema Ritrovato, quest’anno? In teoria sabato 28 giugno, come indica il bel manifesto con una Sofia Loren stupita, baciata da Mastroianni, che tappezza le vetrine di Bologna. O forse il 25, da quando cioè era in programma l’evento speciale per celebrare la nascita del Tramp, del vagabondo Charlot? La Cineteca di Bologna infatti ha il privilegio invidiabile di essere la depositaria dell’Archivio Chaplin, e quest’anno ha organizzato un convegno di studiosi chapliniani, una mostra, uno spettacolo, delle conversazioni con l’attrice Claire Bloom, e con Mike Leigh, Michel Hazanavicius e Berenice Bejo, Alexander Payne. Naturalmente c’erano anche proiezioni di film e documentari a partire dal basilare Chaplin Unknown di Kevin Brownlow che rivelava il metodo di lavoro di Chaplin, fatto di puntigliose ripetizioni delle gag, fino alla perfezione assoluta del ritmo e della messa in scena.
Brownlow è stato il protagonista della giornata-ponte tra il tributo a Chaplin e il festival vero e proprio, con la presentazione di un documentario che si collega a una delle sezioni maggiori del festival, Adolf Hitler, The Tramp and the Dictator, girato nel 2002 ma presentato in una nuova edizione integrale (o meglio re-integrata della parti che censure locali, inclusa quella italiana, avevano tagliato.) Il film intreccia materiali sull’ascesa di Hitler alla decisione di Chaplin di realizzare un film sul dittatore, con un progetto completamente auto-finanziato dall’attore/regista di origini ebree, Il grande dittatore.
Riprese lunghissime (559 giorni, per la precisione) sia per incorporare eventi e situazioni nuove, o meglio il precipitare degli eventi, sia per il perfezionismo maniacale di Chaplin, che per fortuna è stato documentato dal fratello Sidney con un magnifico filmato a colori, che ci permette di vedere il suo prova e riprova e la ricchezza anche coloristica dei costumi, pur predisposti per essere ripresi in bianco e nero. Oltre a un montaggio incrociato di scene del film e di cinegiornali o materiali storici su Hitler, il film include delle interessanti interviste con il critico Stanley Kauffmann, la storica tedesca Brigitte Hamann, Ray Bradbury, Arthur Schlesinger, Sidney Lumet, Sydney Chaplin (il figlio di CC), Walter Bernstein, Bud Schulberg, il soldato delle Ss Oberguppen fuhrer, Reinhardt Spitzy. Scopriamo così che Hitler, appassionato come Mussolini di cinema americano, si fece proiettare il film un paio di volte, e che un giovane componente della resistenza jugoslava lo proiettò a un gruppo di Ss che erano li per vedere un film tedesco: dopo 45 minuti di visione (si divertivano? Erano lenti a capire dove voleva andare a parare Charlot?) si misero a sparare sullo schermo e scapparono a precipizio.
Con la minuzia di storico che gli è valsa un Oscar speciale per questi suoi documentari, Brownlow ci mostra la nascita della gag del mappamondo, da un filmino di famiglia in cui Chaplin aveva giocato con un mappamondo, alle immagini di cinegiornale che gli fecero scoprire che Hitler ne teneva uno nel suo studio, all’immagine drammatica delle stanze del dittatore dopo la caduta di Berlino, in cui l’unico oggetto che si era salvato era proprio il grande mappamondo.

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Kevin Brownlow entra nella programmazione vera e propria di questa edizione del festival con la presentazione del suo film di finzione, o meglio di fantastoria, It Happened Here in cui mette in scena un’Inghilterra che, sconfitta in guerra, è stata nazistizzata, ma alla fine potrebbe essere liberata da partigiani spietati e violenti. – Una battuta del dialogo spiega però: «La cosa più pericolosa del fascismo è che ci obbliga a combattere con i suoi stessi mezzi». Realizzato con un budget piuttosto ridotto (iniziato in 9, 5millimetri fu girato poi in 16 millimetri) nel lontano 1965, il film è davvero innovativo nel modo in cui propone, per esempio, un finto documentario di propaganda che giustifica la nazistizzazione del paese, e che viene discusso da alcuni collaborazionisti con toni così inglesi nel trattare temi nazisti, che mostra con quanta naturalezza questo popolo potrebbe lasciarsi irretire dai pregiudizi politico-sociali e da un razzismo non certo estraneo alla cultura anglosassone. Un film tuttora inquietante, perché assorbe nella messa in scena sia lo stile «alla» Riefensthal, coi suoi drammatici controluce notturni, sia quello del sobrio bianco e nero del coevo cinema arrabbiato inglese.
Si è avviata al top top anche la retrospettiva dedicata a William Wellman con l’ottimo Beggars of Life, un film muto che sfrutta al meglio l’interpretazione di Louise Brooks nel ruolo di un’orfana che ha ucciso l’uomo che tentava di violentarla, aiutata da un vagabondo (Richard Arlen) che la porta con sé, su e giù nei treni di un’America in piena Depressione. E un Oklahoma Red interpretato da Wallace Beery, violento capo degli hobos, che però capisce che tra i due c’e quella cosa strana che non aveva mai visto prima – l’amore- e li aiuta a scappare in Canada. Solidarietà sociale quindi solo tra i vagabondi (Wellman del resto è l’autore di Wild Boys of the Road, la storia dei due amici, ragazzi di strada, considerato uno dei film più esasperati sulla Grande Depressione).
L’inizio del film è degno del miglior Wellman: dalla grata di una porta finestra un vagabondo affamato sente il profumo di una lauta colazione con uova e pancetta e vede un uomo di schiena seduto al tavolo imbandito, ma quando entra per chiedergli un boccone, scopre che l’uomo è morto, ucciso appunto dalla ragazza.
Serata di grande successo anche in Piazza Maggiore per la versione restaurata di Gioventù bruciata, con i posti a sedere pieni all’inverosimile, gente in piedi sui lati, magari con la bici a mano, e ragazzi seduti a terra fino alla cabina di proiezione. Nelle sale del Lumière intanto si proietta una versione restaurata di Il Gabinetto del dottor Caligari e il primo film sonoro di Ozu, Hitori Musuko.
Insomma è iniziato un festival così denso di proposte e provocazioni, che a ogni ora uno sa che sta perdendo qualcosa di imperdibile.