Proseguiamo il cammino tra alcuni dei nostri campioni arborei. Nell’ampio orizzonte di boschi e riserve che circonda le città si possono incontrare alcuni relitti della società agricola che ha ben rappresentato l’Italia per secoli: il castagneto. Ve ne sono in tutte le regioni, sebbene in taluni casi essi abbiano rappresentato ben oltre che una semplice diversificazione produttiva e alimentare; in determinate parti del paese la castanicoltura è stata la fonte primaria della sussistenza per molte famiglie e varie comunità umane. Ora quei mondi sono estinti, storie da romanzi nostalgici, da poeti vernacolari, o da cercatori di alberi secolari.

NON SAPREI BENE IN QUALE DI QUESTE categorie collocarmi. Di certo il castagno monumentale è stato al centro di molte mie dendrosofie e alberografie, in diversi silvari che sono andato a comporre spuntano quelli che ho chiamato i «castanodonti».

A MEMORIA RICORDO AD ESEMPIO Homo radix, Le bocche di legno, Manuale del perfetto cercatore di alberi, L’Italia è un bosco, Ogni albero è un poeta, nonché l’opera in uscita, Alberi millenari d’Italia. Quante centinaia di volte ho accarezzato le cortecce striate verticalmente di questi alberi secolari, in giro per lo stivale? Ora in Calabria, ora in Sardegna, ora in Sicilia, ora in Valle d’Aosta, in Trentino, in Toscana, in Emilia Romagna, in Liguria, ora in Lombardia o in Piemonte. Ogni volta sono affascinato da queste sculture piantate lì, a trionfare, con chiome gonfie, sparate, pance prepotenti, muschiature abbandonanti, circondate da un silenzio quasi mistico, come se il cantilenare dei boschi di castagno si fermasse quando si arriva al cospetto di un albero ultrasecolare.

COME E’ ARCINOTO I CASTAGNI più grandi e annosi del nostro paese si trovano alle falde dell’Etna, sui pendii che sovrastano Noto e i comuni costieri della provincia di Catania, nello specifico a Sant’Alfio e nell’adiacente Mascali. A seguire abbiamo grandi castagni in provincia di Cosenza, all’interno del vasto territorio del Parco Nazionale del Pollino, e sull’arco alpino. Altri giganti radicano sulle dorsali appenniniche tra Toscana ed Emilia Romagna, con particolare costanza sul Monte Amiata.

ORA SULL’ETA’ DI QUESTI GIGANTI ci sono pareri discordi: lo studio dei pollini fossili assicura la presenza del castagno in Italia anche prima dell’ultima glaciazione, fra i quindici e gli undicimila anni fa, ma l’età dei più vasti castagni siciliani viene al massimo proiettata ai quattromila anni. Un’eternità, altro che vampiri che hanno visto le rivoluzioni di Parigi e la scoperta dell’America, o che hanno seduto alla tavola rotonda di Re Artù o hanno partecipato all’invasione dell’Asia da parte di Alessandro Il Grande. Stime più caute attesterebbero duemila/duemilacinquecento anni per i castagni detti dei Cento Cavalli o Cento Cavalieri, oramai parte di un abitato vasto, con tanto di sentiero dedicato, cartellonistica e un edificio in legno, aggiunta di queste ultime stagioni, sopra il quale poter ammirare l’albero monumento. E, al parcheggio, un bar che ne porta il nome.

RISPETTO ALLA PRIMA VOLTA che l’avevo visitato l’area è maggiormente curata e i castagni oramai sono diventati un richiamo turistico, quello che gli americani chiamano un landmark, tanto da esserci B&B, ristoranti e osterie che ne portano il nome. Gli umani sono davvero commoventi, a volte.

LA STORIA DEL CASTAGNO DEI CENTO Cavalli è stata raccontata così tante volte che non serve nemmeno ricordarla. Basti sapere che si tratta di tre grandi alberi che insieme creano un perimetro di una cinquantina di metri, che il maggiore ha una circonferenza dei tronchi che tocca i 22 metri. Lo sguardo dall’esterno è quello di un boschetto a parte, alto una ventina di metri. Oltre il parcheggio inizia una strada che porta all’abitato di Mascali, laddove sorge l’altro enorme castagno dell’area del Parco dell’Etna, il Castagno di Sant’Agata o della Nave, per la sua forma, un unico esemplare ultramillenario; una montagna vivente da cui si solleva una decina di fusti, come gli alberi che caratterizzano una nave che attraversa restando nello stesso punto il mare del tempo. Localmente viene anche chiamato l’albero Arrusbigghiasonnu, a causa del cinguettio degli uccelli.

TORNANDO ALLA STIMA DELL’ETA’, alcuni anni fa è stato condotto un esame al carbonio 14, su campioni prelevati dall’impianto radical; questi esami avrebbero attestato un’età probabile compresa fra i 3600 e i 4000 anni per il Cento Cavalli, e 1600-1700 per il Sant’Agata. Bisogna iniziare a risalire la penisola, arrivando nell’entroterra cosentino per visitare altri grandi castagni nei boschi di Grisolia, dove invero riposano diversi alberi secolari, ma tre sono in fila uno dietro agli altri, a diversi chilometri dal centro abitato. Qui sono venuto per osservarli meglio, per vedere i salavruni – i rammarri – che arrampicano sui tronchi vetusti, e ammirarne forme, caratteristiche, misure. Il maggiore, il cavo, sta al centro, con i suoi 13 metri di circonferenza del tronco. E ci ho meditato dentro, accasandomi mezz’ora, chiedendo scusa alla materia per questa mia goffa pretesa di compartecipare alla scialuppa degli abitanti transitori del pianeta. Un silenzio che non è silenzio, è la promessa di qualcosa che lentamente si trasforma.

DI GRANDI CASTAGNI L’ITALIA E’ COSTELLATA. Potremmo pensare al castagneto storico, tutto un monumento che è il Grou, nell’entroterra dell’imperiese, e poi ai grandi castagni di Mulini di Triora, ai non pochi castanodonti del Piemonte, tra Val Varaita, Roero, Biellese, Ossola; ai castagneti della bergamasca, della Lunigiana, ai giganti di Pratofosfo in Garfagnana; ai castagneti del paese di Dino Campana, Marradi. Oppure possiamo ripensare a singoli esemplari, quali l’Osteria del Bugeon, il gigante di Canossa a Montombraro, i castagni di Marciana sull’Elba, il castagno cavo dove pregavano i frati alle spalle del monastero di Camaldoli, noto come Castagno Miraglia. Oppure ai castagni che accompagnano il rinnovarsi delle generazioni nei masi dell’Alto Adige, come ad esempio il castagno del Maso Lusenegg, in Val Gardena, il Tsahagnèr di Derby in Valle d’Aosta, Polifemo, il Castagno di Grosio in provincia di Sondrio, il Balech di Quero, nel feltrino, il Castagno delle Bigonaie ad Anghiari e quanti altri ancora: una geografia nutritissima.