«Ucciderò presto degli altri fottuti poliziotti. L’unica cosa che mi dispiace e che ne ho solo uccisi due». Siamo nell’aula di un tribunale, sul volto ghignante di un uomo –il messicano Luis Bracamontes, condannato per aver ucciso due agenti della polizia californiana – appare la scritta: «I democratici lo hanno lasciato entrare nel nostro paese. I democratici gli hanno permesso di rimanere». Diffuso la settimana scorsa attraverso il Twitter presidenziale, e realizzato sotto gli auspici della Casa bianca, lo spot tocca punte impensabili persino nel contesto xenofobo e razzista con cui Trump ha definito il suo contributo personale alla campagna di Midterm.

Ma lo stretto rapporto tra il profeta di Make America Great Again e lo spot – rifiutato da Cnn, ritirato dai palinsesti Nbc dopo valanghe di proteste tra cui quella del popolare regista Nbc Universal Judd Apatow, e oggi perfino da Fox News – non dovrebbe stupire, dato che lo spot è l’erede diretto di una delle creazioni più celebri di un supporter chiave, e un’ispirazione altrettanto importante, dell’attuale presidente: l’ex Ceo di Fox News, Roger Ailes.
Lo spot ricalca infatti quasi alla lettera quello che, nel 1988, segnò l’inizio della fine della corsa alla presidenza del democratico Michael Dukakis. Passato alla storia come il Willy Horton Ad, era incentrato sul caso di un afroamericano condannato per omicidio (Horton), che aveva violentato una donna durante un permesso fuori prigione, previsto della legge del Massachusetts, stato di cui Dukakis era governatore.

IDEATO DA AILES, lo stratega elettorale di George W. Bush, il Willy Horton Ad ha un ruolo di rilievo nel nuovo documentario di Alexis Bloom, Divide and Conquer: The Story of Roger Ailes. Prodotto da Alex Gibney, il film è l’odissea di Ailes, da figlio del caporeparto di una fabbrica della Packard in una cittadina dell’Ohio a grande burattinaio della galassia mediatica a stelle e strisce o, come lo definì Obama, «l’uomo più potente delle news». Costruito cronologicamente, e ricco del reportage giornalistico a cui ci hanno abituati i film diretti o prodotti da Gibney, Divide and Conquer racconta una storia per certi versi già nota e ripercorsa recentemente quando Ailes, di fronte a una valanga crescente di accuse di molestia sessuale, è stato licenziato dai Murdoch nel luglio 2016 – sarebbe morto l’anno successivo, dopo aver aiutato da dietro le quinte la vittoria di Trump.

Ma il film ha momenti inediti che arricchiscono la biografia del personaggio e il suo ruolo chiave nel disegno –perché di disegno si tratta – che ci ha portati all’attuale assetto politico/culturale. Folgorante, per esempio, il girato anni cinquanta delle strade normanrockwelliane di Warren, mentre la voce fuori campo di Ailes racconta di aver capito fin da giovane che quella «sua America», e i suoi valori andavano protetti a tutti i costi. Il senso di minaccia evocato dalle sue parole, come la febbre che serpeggia nei rally Maga, è di un’intensità quasi metafisica. E ha una valenza indubbiamente metaforica il fatto che quest’uomo, così terrorizzato dall’esterno, fosse malato di emofilia.

Un brivido nella schiena arriva anche di fronte all’immagine di un giovane Mitch McConnell (attuale presidente del Senato e uno degli esponenti più spietatamente cinici della storia del Congresso americano). La sua primacampagna per il seggio al Senato del Kentucky, che detiene tutt’oggi, fu infatti architettata da Ailes, che aveva iniziato la carriera in una stazione Tv di Philadelphia con un programma di interviste a personaggi di spicco.

SI SA, IL «CLIENTE» originale di Ailes è stato Richard Nixon. È stato infatti nell’arco della sua campagna presidenziale che l’ex capo di Fox News ha messo a punto la tecnica di bypassare il mainstream mediatico, specialmente quando critico, lavorando su giornali e stazioni tv locali, e di alimentare qualsiasi paura trovasse a portata di mano –nei confronti di ebrei, musulmani, migranti, donne, omosessuali… Emblematica anche la storia di come Ailes acquistò un settimanale di Cold Springs, cittadina a nord di New York dove aveva una casa, appositamente per cercare di far cadere l’amministrazione locale democratica e installarne una repubblicana.

E non si fa fatica in quella sua tecnica ideata per un candidato di per sé incline alla paranoia come Nixon – a oggi perfezionata all’ennesima potenza da internet e da abili seguaci come Bannon – a riconoscere il nodo del messaggio trumpista incarnato dallo spregevole nuovo spot. Alla vigilia del voto, il grande burattinaio si fa sentire anche d’aldilà