Il traforo del Gran Sasso non chiuderà domenica a mezzanotte, come era stato disposto. La società Strada dei Parchi, concessionaria dell’autostrada A24, su cui corre il tunnel, lo ha annunciato ieri, dopo aver tenuto mezza Italia sulle spine per settimane. La decisione, ha spiegato il vice presidente, Mauro Fabris, è stata adottata, «alla luce di quanto emerso negli incontri dei giorni passati al ministero delle Infrastrutture e Trasporti, e in Procura a Teramo», dove proprio nelle scorse ore c’è stato un summit. Esulta anche il titolare del Mit, Danilo Toninelli, che sottolinea che «non bisogna fermarsi». Oggi nuovo tavolo al ministero «per definire le azioni da porre in essere con rapidità per mettere in sicurezza il sistema idrico una volta per tutte».

Già, perché in ballo c’è la tutela della falda acquifera del Gran Sasso, le cui rocce sono attraversate dalla galleria, che rappresenta un fondamentale collegamento con Roma, e il cui cuore custodisce, dal ’93, i laboratori sotterranei dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare, tra i centri di ricerca più importanti al mondo e dentro cui sono ammassate 2.300 tonnellate di sostanze pericolose usate per gli esperimenti, per questo sottoposti alla direttiva Seveso. Sia i lavori sull’A24 che gli esperimenti possono comportare l’utilizzo di materiali altamente inquinanti. Alcuni incidenti hanno già provocato la contaminazione temporanea delle acque: l’ultimo è stato a maggio 2017 quando fu dichiarata la non potabilità per 32 comuni. Episodio che ha portato alla luce, ancora una volta, l’inadeguatezza dei sistemi di impermeabilizzazione. Da qui l’inchiesta della Procura di Teramo e il rinvio a giudizio, per inquinamento ambientale, dei vertici di Strada dei Parchi, che hanno effettuato gli interventi nel mirino, dell’Infn, e dell’azienda del servizio idrico Ruzzo Reti. Secondo la magistratura esiste il «permanente pericolo di inquinamento ambientale e, segnatamente, il pericolo di compromissione o deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee del massiccio del Gran Sasso». E, ad evidenziare ciò è anche una relazione tecnica dell’Arta (Agenzia regionale di tutela ambientale) ripresa nel Piano di emergenza predisposto dalla Prefettura dell’Aquila.

«In caso di incidente rilevante nel laboratorio dell’Infn, i contaminanti – viene evidenziato – potrebbero disperdersi in falda. L’area di influenza da prendere in considerazione riguarda tutti i bacini idrografici al contorno, in contatto con l’acquifero profondo del Gran Sasso nelle province di Teramo, L’Aquila e Pescara». Acquifero carsico «che si estende su tre province su una superficie di 970 chilometri quadrati» e che è da ritenere «quasi per intero a rischio in quanto rientrante nell’area di influenza» dei laboratori. L’inquinamento della falda, «che viene utilizzata a scopo idropotabile da circa 700mila persone, – viene aggiunto – potrebbe pregiudicare il consumo umano». Nel Piano si legge anche che un terremoto potrebbe avere «effetti estremamente gravi all’interno dei laboratori e può essere direttamente connesso al rischio di incidente rilevante con conseguenze immediate sull’ambiente circostante». «Le faglie del Gran Sasso – si fa presente – si trovano in una zona sismicamente molto attiva; a sud di queste (ad una distanza di appena 12 chilometri) vi è anche la faglia di Paganica, la cui attivazione ha prodotto il terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009. Tali faglie, la cui lunghezza totale raggiunge i 30 chilometri, sono da considerare ‘silenti’ ossia in ritardo sismico e possono raggiungere la magnitudo massima attesa di circa 7 gradi nella scala Richter». Ma c’è dell’altro. «La faglia del Gran Sasso denominata di Campo Imperatore, – prosegue il Piano – attraversa, quasi ortogonalmente, le gallerie autostradali dell’A24 ed ha un piano di faglia inclinato di 55° che passa ad una distanza di circa un chilometro dai laboratori. Detta azione di taglio associata all’aumento del grado di fratturazione dell’ammasso roccioso potrebbe creare alle infrastrutture esistenti rilevanti problemi anche a distanza di alcuni chilometri». «In caso di scosse è diverso – fa notare Augusto De Sanctis, del Forum H2O – se nei laboratori ci sono tonnellate di sostanze pericolose oppure no, le conseguenze sarebbero diverse per l’intera regione: ora finalmente emerge il problema che avevamo puntualmente segnalato nell’esposto del giugno 2018».