Una volta giunti a Cordova, la bellezza della moschea toglie il fiato. Moschea che è anche cattedrale gotica, nella stratificazione delle conquiste e dello sconfitte. La storia di al-Andalus è lì, contratta, che ancora ci parla. E lo fa in una regione scossa dall’affermazione elettorale di Vox, forza politica schiettamente razzista e machista, da gennaio sostegno decisivo dell’amministrazione popolare.

Fu Cordova terra meticcia, innovativa e colta, tra le altre cose città natale di un pensatore straordinario e maledetto: Ibn Roshd (1126-1198), noto nell’Europa latina col nome di Averroè.
Con sguardo dettagliato e inebriante, l’ultimo romanzo di Gilbert Sinoué ci racconta la vita del filosofo, che fu giurista quanto medico, e della sua al-Andalus – nel cruento passaggio dagli Almorovadi agli Almohadi, berberi maghrebini che risalirono la penisola iberica frenando la Reconquista cristiana. Averroè o il segretario del diavolo (Neri Pozza, pp. 297, euro 17) è dunque un romanzo biografico. Ma c’è di più.
Per dar conto del pensatore andaluso si deve dar conto – e così fa Sinoué – dell’Illuminismo arabo che precede di diversi secoli quello francese: ad Abubucer (Ibn Tufayl), filosofo-medico maestro di Averroè, sono dedicate pagine avvincenti; così come a Maimonide (Ibn Maymun), che di Averroè fu amico, e la cui Guida dei perplessi fu testo importante anche per Spinoza. Sapienti, poi, i continui salti in avanti che, nel censire un pensiero situato, ne indicano gli effetti: dalla formazione giovanile di Federico II di Svevia a Dante e Guido Cavalcanti, da Tommaso d’Aquino alla condanna del Vescovo Tempier (nel 1270 e nel 1277).

SI GIUNGE COSÌ all’oggetto della maledizione durata secoli: l’aristotelismo radicale del Commentator. Non tanto e non solo l’eternità dell’Essere, che cancella il Dio personale, con la sua volontà capricciosa e incostante, quanto l’intelletto unico e altrettanto eterno. Se sulla prima questione il romanzo di Sonoué insiste, sulla seconda è frettoloso. Ma è la seconda, intimamente connessa alla prima ovviamente, e trattata nel Commentario al De anima di Aristotele, che si diffonde senza sosta nelle università europee, generando le reazioni più violente, dall’Aquinate a Leibniz.

Si deve ad Augusto Illuminati (Averroè e l’intelletto pubblico, manifestolibri, 1996), la riscoperta del pensiero maledetto – già caro, in Italia, a Bruno Nardi. Nella metà degli anni Novanta, tra l’altro, Illuminati fa di Averroè autore necessario per comprendere il capitalismo postfordista, col linguaggio divenuto principale risorsa produttiva.
Rimane la domanda: perché tanto odio nei confronti di chi, commentando Aristotele, afferma che l’intelletto, tanto materiale quanto agente, è unico ed eterno? Oltre la rilettura decisiva di Illuminati, ci viene in soccorso il bel saggio di Emanuele Coccia (La trasparenza delle immagini. Averroè e l’averroismo, Bruno Mondadori, 2005): separare il pensiero dalla persona significa insistere sulla sua natura comune e transindividuale. Se l’intelletto tutto – non solo quello agente con la sua capacità di estrarre gli intellegibili dai fantasmi (percezioni-immagini), ma anche quello materiale, potenza o medio del pensiero – è unico, viene meno il primato del cogito, dell’Io penso e della coscienza. Ma viene meno anche il soggetto morale e della legge.

INFANTI, privi di linguaggio e di coscienza, facciamo esperienza della parola e dei concetti soltanto nel rapporto con gli altri e con il mondo: imitando, giocando, studiando. Ancora: nell’epoca degli algoritmi (anch’essi invenzione araba, tra l’altro) e della cattura dei dati e del valore tramite piattaforme e social media, l’averroismo è chiave feconda per opporre il comune dell’intelletto all’appropriazione capitalistica.
Torniamo a Sinoué, per concludere. La figura più affascinante del romanzo è una donna, Lobna. Amante più anziana di Averroè, sfuggendo alla sua domanda di amore esclusivo, gli insegna: «Ibn Roshd, sai cosa è scritto nel Corano? ’Le vostre spose sono per voi un campo da arare; andate al vostro campo come e quando desiderate’. Io non mi sono mai considerata un campo da arare. Non amo la promiscuità che dura troppo a lungo». Personaggio degno della contemporanea marea femminista.