La bellezza intrisa di nostalgia, danzata sulle sponde di un lago di lacrime, da fanciulle in tutù immacolato. Il braccio che sfiora il viso, come fosse un’ala che asciuga il volto dall’acqua. Da più di cento anni è l’immagine icona dell’idea di balletto, complice il sentimento che attraversa da fine Ottocento musica e coreografia de Il lago dei cigni di Ciaikovskij, Petipa e Ivanov. ù

Un titolo di culto, rinato nelle mani di artisti classici e non classici, da Nureyev a Mats Ek, da Matthew Bourne all’africana Dada Masilo, dal russo Alexei Ratmansky, che porterà il suo Lago alla Scala tra giugno e luglio, all’italiano Fabrizio Monteverde.

Coreografo cardine della danza italiana dalla fine degli anni Settanta, già autore di uno dei migliori Romeo e Giulietta di stampo contemporaneo, Monteverde è artista dal piglio colto e corrosivo. Per il Balletto di Roma, storica compagnia italiana, fondata nel 1960 e oggi diretta artisticamente da Roberto Casarotto, Monteverde ha firmato il suo Lago che, dopo il debutto a inizio stagione al Comunale di Ferrara, è approdato in tour al Carcano di Milano.

La storia tradizionale del balletto si intreccia con l’atto unico di Cechov Il Canto del cigno, racconto toccante di un vecchio attore che ripercorre i ruoli della sua carriera. Monteverde riscrive il balletto di Petipa, ambientandolo in un teatro dove una troupe di anziani ballerini, attraverso le prove de Il lago, mette a nudo la propria storia. Tra mucchi di vestiti usati, che ricordano La Venere degli stracci di Pistoletto, Monteverde invecchia con graffio sapiente la danza, grazie a una scrittura coreografica che segna dolentemente, nella qualità del movimento, la giovinezza dei danzatori.

Un invecchiamento che, tra le pieghe del racconto del Lago, parla del mestiere del ballerino nel suo rapporto con il corpo e con il tempo che passa. È un gruppo di persone che ricorda, nei momenti collettivi, il beckettiano May B di Maguy Marin, ma non per questo non autonomo nel penetrare con originalità il tema scelto.

Con maschere di lattice che trasformano il volto, Odette, il cigno bianco, è una danzatrice anziana, la sua rivale, Odile, il cigno nero, il cigno malefico, è una ballerina più giovane, Siegfried, il principe, è un uomo preso da se stesso, Rothbart, il mago, è l’inganno. Ma è la vita dei danzatori, la loro esperienza della fine vicina, la conoscenza delle difficoltà del vivere, il desiderio di riscatto e sopravvivenza, che emerge con prepotenza e dolcezza attraverso quei ruoli ormai sbiaditi. Ottima prova per la compagnia e addio alle scene per Claudia Vecchi, rapinosa Odile a contrasto con la struggente Odette di Roberta De Simone.