Da Tripoli a Bengasi, non si fermano le violenze in Libia. Per ragioni di sicurezza, la missione delle Nazioni unite ha evacuato il personale di stanza nel paese. Impotente di fronte allo sfascio provocato dagli scontri tra mafie, fazioni e milizie, il governo spera però che l’Onu ritorni. E si appella agli impegni presi durante la rivolta contro Muammar Gheddafi: «Nel 2011 – ha detto il portavoce del governo, Ahmed Lamine – le Nazioni unite hanno votato una risoluzione per aiutare i libici contro il regime. La prima cosa, allora, è andare dall’Onu perché ci aiuti a ristabilire l’ordine».

Nei giorni precedenti, Tripoli aveva lasciato intravvedere la possibilità di chiedere un nuovo intervento internazionale, ma non era entrata nel merito quanto alla forma e ai destinatari. E il Segretario di stato Usa, John Kerry aveva dichiarato di «lavorare duro» per porre rimedio a una situazione «pericolosa», ma senza spingersi oltre. La Francia ha detto di aver «preso nota» della situazione, ma che toccava prima di tutto all’Onu affrontarla. E ora Lamine non esclude la possibilità di chiedere ufficialmente la presenza dei caschi blu: «Se è necessario – ha detto – faremo la domanda ufficialmente al Consiglio di sicurezza».

Il timore è che gli scontri degenerino un’altra volta in guerra civile. A Tripoli, continuano i combattimenti per il controllo dell’aeroporto. A Bengasi, dalla metà di maggio, le forze dell’ex-generale Khalifa Haftar si scontrano con le milizie jihadiste. Nella capitale, il governo ha tentato una mediazione per far cessare i combattimenti, ma nessuno lo ha ascoltatoadistes.

«C’è una parte che ha perso le elezioni e che tenta di avere un’influenza in altro modo», ha detto Othmane Ben Sassi, ex membro del Cnt ( braccio politico della rivolta contro Gheddafi, nel 2011), alludendo agli islamisti.