Il dramma è nelle cinquantasei rose gialle con su scritto «11.38». «È un fiore per ogni chiamata che mio fratello Gabriele fece, prima della sciagura, supplicando aiuto. Affinché si degnassero di sgomberare la strada dalla neve. Ma non arrivarono, e sono morti, intrappolati in un inferno…». Francesco D’Angelo spiega la sua corona, mentre la posa tra le altre, all’ingresso dell’Hotel Rigopiano a Farindola (Pescara) che, il 18 gennaio 2017, è stato abbattuto, spostato e distrutto da una valanga.

DUE ANNI DOPO, nel giorno che, più degli altri, è quello del dolore, è un miscuglio di sentimenti, a volte pacati, a volte di rabbia. «In particolare – spiega D’Angelo – furono due le telefonate di soccorso arrivate quella mattina, prima della sciagura, alla Prefettura di Pescara». Come emerge anche dall’informativa consegnata dai carabinieri forestali alla Procura dopo le analisi sul cellulare di Gabriele D’Angelo, che lavorava come cameriere in quel posto. «La prima – aggiunge – è delle 11.38 e fu fatta da mio fratello…». Che era in allerta, c’era emergenza, non si sentiva più sicuro in quell’albergo a cinque stelle e, dopo aver ricevuto, via WhatsApp, alle 11.31, il numero del centralino della Prefettura dal responsabile della Croce Rossa di Penne (Pe), per ben 8 volte (dalle 11.32 alle 11.37) provò a contattarla.

Solo alle 11.38 riuscì a parlare con la Prefettura di Pescara chiedendo, e non fu il solo, l’invio di mezzi di soccorso. Di turbine, che non giunsero. Lui continuò, imperterrito, a sollecitare interventi. Fece fare telefonate, a ripetizione, anche da amici. Nulla… «Nessuno si preoccupò di raggiungerli e salvarli. Le segnalazioni caddero nel vuoto». D’Angelo, ora, chiede giustizia.

C’È UN FILONE D’INCHIESTA su quelle telefonate, di cui si era persa anche traccia. Sparite prima, poi… ritrovate. Ma D’Angelo, al ministro Luigi Di Maio, in visita a Rigopiano, domanda anche: «Perché a mio fratello e agli altri dipendenti non è stata riconosciuta la morte sul lavoro?». «Stiamo preparando interventi normativi in Parlamento – risponde Di Maio – e quello che non è stato fatto, sarà fatto, anche per quanto concerne indennizzi e risarcimenti. Noi ci siamo…».

A stringere mani, a raccogliere frammenti di storie tranciate, c’è anche il vicepremier Matteo Salvini. Che taglia subito le polemiche: «Nessuna passerella elettorale. Sono venuto solo perché invitato dai familiari delle vittime. Mi hanno permesso di entrare nelle loro case, nei loro negozi, nei loro ricordi e questo è prezioso. La voglia di parlare delle mamme, dei papà, delle sorelle anche in momenti difficili, è quello che mi ha più colpito. Adoro la montagna – prosegue -. Sono stato in tanti rifugi, alberghi e su piste da sci. E l’Abruzzo è una terra incredibile. Non chiede niente, si rimbocca le maniche, parte, corre e ricostruisce. Noi forniamo aiuti concreti, 10 milioni di euro, che certo non riportano in vita, però danno una mano. Poi contiamo che la giustizia sia veloce, efficiente e rapida e chi ha sbagliato paghi».

NEI GIORNI SCORSI Alessio Feniello, papà di Stefano, tra i morti di Rigopiano, è stato condannato, in tribunale a Pescara, al pagamento di una multa da 4.550 euro perché, andando a lasciare fiori, lì dove il figlio è deceduto, ha violato i sigilli giudiziari. «Gli ho detto di non tirare fuori un euro – afferma Salvini -. Ci manca giusto di essere multati per questo… Se c’è una legge sbagliata, la cambieremo». «Quest’anno – evidenzia Marcello Martella, che ha perso la figlia Cecilia, di 24 anni, – come Comitato vittime, abbiamo voluto, forte, la presenza dello Stato. Dopo essere stati abbandonati, ci sentiamo più protetti».

A RIGOPIANO c’è un manto di neve che copre, come può, quel che resta della catastrofe: tronchi spezzati, muri sventrati e un solco lungo, lunghissimo, bianco, disegnato, scolpito dalla slavina sulla montagna. Ilaria Di Biase era una delle cuoche dell’hotel cancellato. «Una volta – dichiarano il papà Filippo e la mamma Mariangela – per noi questo era il luogo fantastico dove venire a trovarla. Ora è il posto della sofferenza. Oggi è tutto così calmo, come allora, le stesse tinte, la stessa pacatezza. Aveva tanti sogni, lei, e non le hanno permesso di realizzarli».

L’INGRESSO DEL RESORT è un altare, con le fotografie delle 29 vittime, una catasta di fiori, il segno della croce, i lumini… Tra i tanti ecco anche Ercules, pastore belga nero, cane antivalanga, che ha scavato a Rigopiano, quanto ha scavato. È guidato da Paolo Di Quinzio, responsabile del Soccorso Alpino della Regione Abruzzo. «Siamo arrivati la mattina dopo la sciagura – ricorda -. Era tutto sepolto, questa la circostanza più sconvolgente». La tragedia ancora nascosta e sconosciuta nella sua gravità. Molte esistenze già seppellite. «Adesso – urla una donna – il presidente della Repubblica manda una corona, ma cosa ci fa una mamma, adesso? Dovevano mandare uno spazzaneve due anni fa. Ecco che dovevano fare…».