Conto alla rovescia per un nuovo aumento del salario minimo interprofessionale in Spagna. L’obiettivo del governo, specificato chiaramente nell’accordo fra Psoe e Podemos all’inizio della legislatura, è chiaro: «Aumenteremo il salario minimo interprofessionale fino a raggiungere progressivamente il 60% del salario medio in Spagna, come raccomanda la Carta Sociale Europea».

Eppure, ogni volta che arriva il momento di rimettere il tema sul tavolo, alcuni settori del partito socialista, capeggiati dalla vicepresidente economica Nadia Calviño, trascinano i piedi. Ma con il suo solito stile discreto e pragmatico, ancora una volta l’altra vicepresidente, la ministra del lavoro Yolanda Díaz, di Unidas Podemos, è riuscita a imporre il suo criterio e per il primo settembre ha convocato la prima riunione fra le parti sociali che dovrebbe portare alla decisione entro la fine dell’anno, come previsto.

Il governo presieduto da Pedro Sánchez è il responsabile del maggiore aumento del valore di questo indicatore fondamentale dell’economia: nel 2019, con l’appoggio parlamentare di Podemos, che ancora non era nel governo, aumentò del 22% il suo valore, dopo un decennio praticamente di stasi durante il governo Rajoy. Il valore raggiunto fu di 900 euro al mese, per 14 mensilità (o 1.050 in 12 mensilità). L’anno successivo, nel 2020, si arrivò a 950. Per il 2021, Díaz reclamava un nuovo aumento da gennaio, ma con la scusa che l’economia stava ancora leccandosi le ferite della pandemia e il numero di posti di lavoro recuperato era ancora minimo, la decisione era stata ritardata a dopo l’estate.

Ma ormai, con i dati macroeconomici in miglioramento, non c’erano più scuse, e oltretutto il governo voleva togliere di mezzo almeno uno dei temi spinosi che stanno aumentando le frizioni fra i soci. Fra la gestione del ritorno coatto in Marocco dei minori che si trovano a Ceuta, l’ampliamento dell’aeroporto del Prat, l’annosa questione della difesa degli affitti e quest’estate i prezzi della luce alle stelle, i fronti aperti del conflitto fra i soci di governo sono davvero molti, ci mancava anche il salario minimo, su cui il grosso del Partito socialista è sostanzialmente d’accordo, per far esplodere la coalizione.

Dunque a settembre si inizieranno a vedere le parti sociali, ma non ci saranno né la ministra, né i segretari generali dei sindacati e delle associazioni industriali spagnole perché si tratterà di un incontro “tecnico”. Il governo non porterà una cifra concreta, ma si limiterà ad ascoltare. La decisione comunque sembra già presa, resta solo da trovare un accordo sulla quantità concreta. I sindacati vogliono almeno compensare l’aumento dell’inflazione, che quest’anno è stata per la prima volta importante da molti anni in Spagna: attorno al 3%. Inoltre esigeranno che la misura venga presa il più presto possibile, senza aspettare la fine dell’anno.

Un comitato di esperti nominati dal governo a giugno aveva messo dei paletti numerici al piano del governo: suggeriva che entro la fine della legislatura nel 2023 si arrivasse a un salario tra i 1.011 e i 1.049 euro al mese (per 14 mensilità), che corrisponde proprio a circa il 60% del salario medio percepito dai lavoratori spagnoli. Per quanto riguarda il 2021, prendeva in considerazione un aumento cauto, fra i 12 i 19 euro al mese (tra l’1.3% e il 2%). Secondo gli esperti sarebbe prudente concentrare la maggior parte dell’aumento per arrivare alle cifre indicate per il 2022 e 2023. Se davvero il governo rosso-viola arrivasse alle prossime elezioni con le cifre promesse, il salario sarà aumentato di un totale di 300 euro al mese (ben 4.200 euro all’anno in 14 mensilità).