Quando si tratta di banche, il governo non riesce proprio ad evitare scivoloni. Inciampa e cade anche nel giorno in cui, con la fiducia, Montecitorio dà il via libera (351 sì, 180 no) al decreto riveduto e corretto sulla riforma delle banche di credito cooperativo. Un provvedimento sul quale arriva anche la benedizione di Federcasse, in precedenza assai fredda. E questo via libera del mondo cooperativo è un buon viatico per il passaggio finale al Senato.
Purtroppo per l’esecutivo di Matteo Renzi, nelle stesse ore il pressing dei civatiani di Possibile e degli ex pentastellati di Alternativa libera convince anche la sinistra Pd che qualcosa non torna in un decreto legislativo del governo. “Penso che dovremmo cambiare il parere della commissione finanze – osserva sul punto il dem Davide Zoggia – sul decreto che prevede la pubblicazione delle decisioni prese nei confronti di intermediari finanziari colpevoli di azioni vietate, come alternativa alle sanzioni già previste nel nostro ordinamento”.
Possibile e Al traducono per i non addetti ai lavori: “Apprendiamo con gioia che la sinistra Pd condivide i nostri rilievi al testo di legge presentato dal governo per alleggerire le sanzioni a carico dei banchieri che amministrano male e che danneggiano i risparmiatori”. Traduzione impeccabile, visto che lo stesso Zoggia puntualizza: “La pubblicazione viene prevista come recepimento di una direttiva europea, da attuare in caso di violazioni meno gravi. Peccato che, per come viene prevista, finisca per costituire un alleggerimento possibile delle sanzioni a carico per esempio dei banchieri che hanno compiuto atti sbagliati e dannosi per la clientela, proprio in un momento in cui si stanno scoprendo troppi esempi di malefatte e di danni per i risparmiatori”.
Nell’attesa che la commissione finanze ci ripensi e inviti Renzi & c. a cambiare il decreto, arriva un’altra notizia che contribuisce a tenere alta l’attenzione sui rapporti fra il governo e il mondo del credito. Nelle pieghe di un ricorso al Tar del Lazio della Fondazione Cassa di Jesi, azionista di Banca Marche, i cronisti del Fatto hanno messo le mani sulla lettera originale con cui la commissaria Ue alla concorrenza Vestager autorizzò il 22 novembre scorso il salvataggio delle quattro banche di fatto fallite: appunto Banca Marche, Banca Etruria, CariFerrara e CariChieti.
Nella missiva della commissione Ue, mai resa nota nella sua interezza da Palazzo Chigi che anzi aveva imposto molti omissis, era specificato: “Se la banca ponte (le nuove, cosiddette ‘good-bank’ nate sulle ceneri delle vecchie, ndr) non sarà venduta entro il 30 aprile 2016, interromperà immediatamente ogni attività diversa dal recupero dei crediti in essere a quella data, non svilupperà nessuna nuova attività o business, non entrerà in nuovi mercati e non acquisirà nuovi clienti”. In altre parole una condanna a morte delle quattro “nuove” banche.
A questo punto è dovuto intervenire il ministro Padoan, che dietro paravento (“fonti del Mef”) ha fatto sapere: “La Commissione europea aveva inizialmente indicato quale scadenza la fine di aprile, ma si sta lavorando con Bruxelles per la proroga del termine”. Almeno fino a settembre, hanno poi puntualizzato dai quartier generali delle quattro banche. Che non se la passano benissimo e hanno bisogno di altro tempo, nonostante il salvataggio del governo (ai danni fra gli altri di azionisti e sub-obbligazionisti, storiaccia ancora da chiudere), visto che agli occhi dei possibili clienti è rimasto loro appiccicato il robusto tasso di malaffare dei vecchi amministratori. A quelli di Banca Etruria, ad esempio, il commissario liquidatore Santoni chiede un danno “pari almeno a 300 milioni di euro, salvo ogni miglior calcolo”. Un brutto colpo, anche per i conti di casa della famiglia Boschi.