Una zona rossa grande come l’Italia. Lockdown su tutto il territorio. Ufficialmente la formula nel governo e nella maggioranza è ancora tabù. La nomina, per negare la cupa eventualità, solo Conte, nella lettera-arringa in sua stessa difesa a Repubblica nella quale copre di elogi il suo governo, glissando su alcuni particolari: trasporti, Covid hospital inesistenti, tracciamenti falliti, medicina territoriale latitante. Poco male. È grazie a quel che si è fatto in estate, rivendica l’avvocato, che possiamo evitare il lockdown generalizzato.

POSSIAMO EVITARLO davvero? È lecito dubitarne. Non solo perché medici, infermieri e anestesisti lo reclamano in coro ma anche perché alla Salute ammettono che i lockdown locali non stanno funzionando bene come quello della primavera scorsa. La gente continua a uscire. Non si è ancora resa conto della situazione, o forse manca l’effetto psicologico provocato dalla drammatizzazione di una chiusura totale. Di certo però Conte vorrebbe a tutti i costi evitare di smentire quanto più volte assicurato: «Non ci sarà un nuovo lockdown». In realtà le previsioni del governo profetizzano un quadro quasi identico, ma quel «quasi» basterebbe a fare la differenza. Sulla carta tricromatica del Paese l’area gialla si è già ristretta ieri. La tinta scura prevarrà ancor di più tra lunedì e martedì prossimi, stando alle proiezioni dei tecnici sulle quali lavora il ministero. Alla fine ben più di metà del Paese sarà in rosso o in arancione.

NON SI TRATTERÀ COMUNQUE di lockdown totale, di blindatura nazionale, e sul piano dell’immagine la differenza è cospicua. O meglio non si tratterebbe di questo, perché a porte chiuse non è che nel governo e nella maggioranza regni molto ottimismo. Più che una solida certezza è un auspicio, con forti venature scaramantiche.

In ogni caso le chiusure già decretate, e a maggior ragione quelle prossime venture, impatteranno sulla legge di bilancio, che tocca oggi i 20 giorni di ritardo sulla data in cui era fissato l’arrivo in parlamento. Approvata, salvo intese, il 18 ottobre sarebbe dovuta approdare alle Camere due giorni dopo. Ieri il ministro D’Incà ha informato che ci vorrà qualche altro giorno, fino alla fine della settimana. Non sarà però necessario un nuovo passaggio in consiglio dei ministri: basterà una riunione dei capidelegazione venerdì, informa Palazzo Chigi. D’Incà ha anche praticamente annunciato un nuovo scostamento di bilancio: «Nel caso fosse necessario siamo pronti a intervenire ancora». Sarà necessario. Dal 18 ottobre è cambiato tutto e nessuno si illude che i circa 5 miliardi dei 2 dl Ristori bastino. Ci vorrà molto di più: secondo alcuni calcoli, certo tutti da verificare, il triplo.

IL GOVERNO, SPIEGA lo stesso D’Incà, spera che stavolta lo scostamento venga approvato dall’intero parlamento: «Sarebbe un buon segnale». È certamente un auspicio dettato dal margine sempre più ristretto al Senato, dopo che negli ultimi giorni altre due senatrici hanno lasciato il M5S, ma non solo. Proprio gli emendamenti alla legge di bilancio sono il terreno sul quale verrà tentato un avvio di dialogo tra maggioranza e opposizione che chiamare incerto è ancora pochissimo. La destra ha chiesto che il confronto si svolga in parlamento, ma senza una regia più che di confronto si tratterebbe di scontro. D’Incà spalleggia la proposta del presidente della Camera Fico: una conferenza congiunta dei capigruppo di maggioranza e opposizione che potrebbe essere convocata telematicamente in ogni momento. È una delle due strade ipotizzate dopo l’incontro del capo dello Stato con i presidenti delle Camere. L’altra prevede una bicamerale composta da 10 membri per ciascun ramo del parlamento e una scelta definitiva ancora non è stata fatta. La funzione sarebbe comunque identica: concordare alcune misure sul fronte della sanità e su quello dei sostegni economici.

È UNA STRADA TUTTA in salita. FdI e Lega sono gelide, ritengono che l’invito sia arrivato tardi, quando il governo si è trovato in difficoltà. Fi è su posizioni opposte: sin troppo disponibile. Mira infatti non solo a collaborare discretamente, come si augura anche il governo, ma ad avere voce in capitolo sull’intera programmazione economica. Troppa grazia. Il fronte politico restituisce dunque un quadro identico a quelli sanitario ed economico. Uno stallo dominato dall’incertezza, in cui nessuno sa cosa succederà anche solo la settimana prossima.