Game over. Sembrava impossibile, eppure persino l’inamovibile Mariano Rajoy è crollato, affondato dal fango della corruzione che persegue il Pp da quando è tornato al potere nel 2011. Il socialista Pedro Sánchez lo ha già sostituito nel palazzo della Moncloa. Un rilievo lampo a cui gli spagnoli non sono abituati.

IERI MATTINA Sánchez ha ottenuto nel Congresso 180 voti, 10 in più di quelli che riscosse Rajoy due anni fa nel difficile voto di investitura che aveva lacerato lo stesso partito socialista. Voto che – vendetta della storia – aveva provocato le dimissioni dello stesso Sánchez da deputato. Lui, che si era rifiutato di astenersi, come gli aveva ordinato il suo partito per permettere a Rajoy di continuare come capo dell’esecutivo, partito dal quale era stato appena defenestrato, preferì dimettersi. La storia gli ha dato la ragione.

Come cambia la politica in soli due anni. Appena la presidente del Congresso Anna Pastor ha dato lettura dei risultati del voto a chiamata nominale (alla fine contro Sánchez hanno votato solo Pp e Ciudadanos, 169 voti in totale, 1 astenuto), gli 85 deputati socialisti si sono stretti attorno al loro leader, applaudendolo e mettendo da parte le lotte intestine di questi anni. Dai banchi di Podemos hanno intonato «Sí, se puede».

La seduta è trascorsa tranquilla: dopo la maratona di ieri, mancava solo il turno di socialisti e popolari, i due gruppi più grandi della camera. A sorpresa, pochi minuti prima del voto, è riapparso Rajoy, che ieri mattina aveva lasciato la camera e aveva sfidato l’ironia generale passando 8 ore rinchiuso in un ristorante. In un ultimo sussulto di dignità, ha chiesto la parola per un minuto. Ha ringraziato dell’«onore» di essere stato presidente, e voleva «essere il primo» ad augurare buona fortuna al suo successore. Come Gentiloni nel suo tweet, anche Rajoy si congeda dicendo di lasciare un paese migliore di quello che aveva trovato. «Spero che il mio sostituto possa dire lo stesso, glielo auguro per il bene della Spagna», ha aggiunto rivolto a Sánchez.

Nel pomeriggio, Pastor è stata ricevuta dal capo di stato, il re Filippo VI, cui ha comunicato il risultato della votazione perché il re potesse effettuare la nomina.

CURIOSAMENTE, il nuovo presidente del governo spagnolo prenderà possesso dell’incarico stamattina. Contemporaneamente, lo farà anche il nuovo governo catalano, la cui nomina è stata sbloccata dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale della nuova lista di ministri di Quim Torra. È una potente metafora: in Catalogna e in Spagna sono cambiati gli interlocutori, e la speranza di molti è che si sblocchi la crisi incancrenita dall’immobilità politica di Rajoy. Ma la speranza è anche un’altra. Durante l’intenso dibattito parlamentare, gli equilibri politici che finora hanno retto il paese si sono rotti definitivamente.

 

LE SINISTRE del Psoe e Unidos Podemos si sono parlate come interlocutori, e non come competitori. Era la prima volta che in sede parlamentare Iglesias e Sánchez si riconoscevano reciprocamente la necessità di lavorare assieme per vincere. Non è detto che alle parole seguano i fatti, ma è diventato chiaro che – pur con accenti diversi – le forze di sinistra possono parlarsi con rispetto. Il governo Sánchez probabilmente sarà un monocolore socialista. Ma la sua debolezza e la necessità di dover tessere accordi parlamentari, se Sánchez e Iglesias saranno abili, potranno essere armi vincenti. Fra un anno esatto si celebreranno le europee e le amministrative, e non molto più in là, Sánchez dovrà convocare anche le politiche. Se le sinistre riusciranno davvero a vincere la tentazione di scontrarsi tra di loro e si ispireranno al vicino Portogallo, potrebbe davvero aprirsi una finestra di opportunità per una nuova stagione.

CHI PERDE, più ancora del Pp, che mantiene il suo forte radicamento nel territorio rurale, è Ciudadanos. Convinti di essere a un passo dal superare il Pp, avevano puntato tutto sulla sopravvivenza di Rajoy per logorarlo. Invece sono stati superati dagli eventi e l’abile Albert Rivera non ha saputo smarcarsi. Li hanno attaccati duramente non solo Podemos e i socialisti – con cui nel 2016 erano persino arrivati a firmare un accordo di governo – ma anche e soprattutto il Pp, che non perdona a Rivera l’ambizione di superarli. A nulla dunque è servito essere in questi due anni l’unico fedele sostegno di un Pp corrotto che ha permesso a Rajoy di continuare come capo dell’esecutivo.