Alla fine, sul Mes è stata raggiunta la quadratura del cerchio. Sul Recovery Plan, invece, lo scontro è violento e non accenna a calare di intensità. È un terreno sul quale il governo rischia davvero. Un esito dell’esclusione di larga parte dell’esecutivo dalla governance dei fondi europei.
Un’interpretazione benevola suggerisce che la concentrazione in poche mani della governance fosse cercata non per bulimia di potere di Conte, ma per blindarsi contro possibili fibrillazioni di maggioranza e assalti alla diligenza.

Ma notiamo intanto che c’era una debolezza nell’approccio di palazzo Chigi. Non è stata avanzata un’idea di paese che andasse al di là di formulazioni vaghe. Si sono accumulati sul tavolo progetti in buona parte già esistenti. Una forte capacità progettuale volta al futuro palazzo Chigi non l’ha mai veramente dimostrata. Ed è un contesto in cui fibrillazioni e assalti si manifestano più facilmente.

L’organo collegiale Consiglio dei ministri è un punto essenziale di equilibrio nei rapporti di coalizione. È il luogo in cui si decide, e quindi primariamente si scaricano e si compongono le tensioni di coalizione. La collegialità è un dato formale e sostanziale insieme. Per questo assistiamo talvolta all’improvviso rinvio di una seduta già convocata, o all’approvazione «salvo intese» di un decreto-legge, che magari arriva al Quirinale e in Gazzetta Ufficiale un paio di settimane più tardi. Per questo non era pensabile che senza colpo ferire si potesse ridurre forzosamente la dialettica endo-governativa riportandola nelle mani di un paio di ministri, del premier, e di un esercito di manager e di esperti.

È corposo anche il dubbio sulla costituzionalità di un vero e proprio governo parallelo che – su un tema cruciale per il futuro del paese – si sostituisce alle istituzioni disegnate nella Carta fondamentale. A chi risponderà, e come, una simile struttura? Quale responsabilità politica avrà un supermanager cui è affidata la gestione di decine di miliardi di euro? Quale visibilità e trasparenza avranno le scelte manageriali, le valutazioni, i pareri, le proposte degli esperti?

Se un supermanager sbaglierà, lo si accompagnerà alla porta, magari con un trattamento milionario di fine rapporto come da contratto? Di quali rimedi disporranno i cittadini che ne avessero nel frattempo ricevuto un danno? Come potranno resistere a interventi sul territorio non condivisi e non condivisibili? Come potranno censurare l’assenza o il fallimento di obiettivi di fondo, come il superamento del divario Nord-Sud? E come potranno domani valutare l’operato di governanti che avranno nel frattempo ceduto i poteri di governo ad altri?

In buona parte, tali censure valgono già per quanto è accaduto nella crisi Covid. Anche per questa abbiamo assistito a una forzosa riduzione oligarchica delle scelte, cui si è aggiunta una frammentazione territoriale favorita dal metodo della concertazione e delle conferenze. Ma dalla lezione Covid non abbiamo imparato. Forse è vero che non si può pensare a una gestione efficace dei fondi Recovery nelle strutture e nei procedimenti ordinari. Ma buon senso politico e rispetto della Costituzione richiedono che la specialità sia mantenuta al minimo livello indispensabile. E soprattutto semplificando i procedimenti amministrativi, non le architetture istituzionali.

Invece, sta nascendo una prassi in senso opposto. Il processo decisionale in parlamento è complesso e faticoso? Si tagliano i parlamentari. È complicato il confronto nel governo? Si tagliano i ministri con le cabine di regia. È lenta e complessa la formazione di una maggioranza in parlamento dopo il voto? Si cerca la soluzione iper-maggioritaria che dia il vincitore la sera stessa, a prescindere dai consensi reali. È pesante la critica a scelte divisive come l’autonomia differenziata? Si evita ogni dibattito parlamentare e confronto davanti al paese, e si collega un disegno di legge attuativo al bilancio, sottraendolo così a possibili iniziative referendarie.

C’è qualcosa di profondamente sbagliato. La democrazia è per definizione più complessa, faticosa, e più lenta dei regimi autocratici. Ma sono difficoltà da affrontare con il confronto, la mediazione, la sintesi. In una parola, con la politica. Si cerca invece la risposta tagliando, comprimendo, riducendo. Una democrazia per sottrazione.