Il grande atto d’accusa è arrivato. Dicono sia di 1.200 pagine – le dimensioni de Il signore degli anelli di Tolkien, fantastico sia come romanzo che come fermaporta. È la relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Covid in Brasile, paese che il virus ha massacrato. Il testo sarà consegnato oggi ai senatori commissari, dopo sei mesi di audizioni. La settimana prossima sarà votato.

Se passa, verrà consegnato al procuratore generale della Repubblica per le incriminazioni del caso. Contiene il nome del presidente Jair Bolsonaro, di tre suoi figli, dei quattro diversi ministri della sanità che la crisi Covid ha consumato, di molti politici, di molti imprenditori e di tutta la popolosa zona che ci sta in mezzo. Sono circa 70 nomi, cinque o sei ancora in discussione. Per ogni nome, accuse in alcuni casi molto specifiche.

Perché il Covid ha già ucciso oltre 600mila brasiliani, ma gli è stata data una mano.

Il primatista è naturalmente O Capitão, il presidente Bolsonaro. Una fuga di notizie ha rivelato che contro di lui sono pronti 11 capi d’accusa: omicidio, epidemia, violazione di misure sanitarie, incitamento al crimine, falsificazione di documenti, uso irregolare di fondi pubblici, prevaricazione, ciarlataneria (sic), crimini contro l’umanità, violazioni incompatibili con la carica di presidente e infine genocidio – ma su quest’ultimo ancora si dibatte nel gruppo Whatsapp dei commissari.

O Capitão è già stato accusato innumerevoli volte da partiti, gruppi, associazioni. Ma mai dalle istanze politiche del suo stesso paese. E non per aver sterminato alberi, ma indigeni. Morti per Covid il 150% in più degli altri brasiliani.

Nella lista anche tre figli di Bolsonaro, il senatore Flavio, il deputato Eduardo e il consigliere Carlos (abuso d’ufficio, istigazione al crimine, illecito amministrativo). Bolsonaro non è un nome, è un’associazione a delinquere. Che include il ministro della sanità Eduardo Pazuello (un generale di brigata) e i tre colleghi che si sono avvicendati al ministero durante la crisi Covid, il ministro degli esteri Araujo, forse quello all’economia, il turbocapitalista Guedes. E poi il capo dell’azienda Prevent Senior che vendeva gli inutili kit-covid, quello dell’azienda di logistica VtcLog che fatturava le cose due volte, quello di Precisa Medicamentos che pretendeva pagamenti off-shore…

Domenica scorsa Bolsonaro è stato cacciato da uno stadio di San Paolo perché non vaccinato, e si è perso Santos-Gremio (ha vinto il Santos 1-0 e il Gremio ha esonerato Scolari). Stavolta rischia un po’ di più.
Secondo la commissione d’inchiesta, è esistito un governo parallelo a quello legale, composto da medici, imprese e politici. Bolsonaro e il governo fantasma presero una decisione atroce: perseguire l’immunità di gregge, ossia niente lockdown, disinfettanti o mascherine, confidando nell’immunizzazione post-infezione.

Come Trump negli Usa e Johnson in Gran Bretagna, poi però il primo perse il posto e il secondo fece retromarcia. Rimasto solo, il Brasile si scatenò sui farmaci: idrossiclorochina, azitromicina e ivermectina, roba che persino il produttore Merck dichiarava inutile.

E scatenò le fake news, organizzate da un «gabinetto dell’odio» gestito dai Bolsonaro (padre e figli) che comprendeva esperti creativi (uno è un astrologo) e medici a gettone, oltre a una quindicina di siti a cui la commissione ha sequestrato gli estratti conto per sapere chi pagava per le balle che diffondevano.

Poi l’errore più grande: rifiutare i vaccini nel frattempo arrivati, salvo imbarcarsi in un costosissimo acquisto del Covaxin indiano per 1,6 miliardi di reais (un quarto di miliardo di euro). Infine l’errore più orribile: l’Amazzonia usata per sperimentare terapie fantasiose, Manaus lasciata senza bombole di ossigeno con i malati che morivano asfissiati, l’accusa di genocidio per cui «è chiaro il nesso causale tra l’anti-indigenismo del presidente e i danni sofferti dai popoli originari». Il Brasile ha già giudicato un genocidio, quando un gruppo di garimpeiros (cercatori d’oro) massacrò 16 indigeni yanomami nel 1993.

La Cpi da Covid è un organismo politico, soggetto a tutte le tensioni di un apparato pubblico spesso opaco e volentieri corrotto. Il più vocale avversario di Bolsonaro, per capirsi, è il relatore della commissione Covid, Renan Calheiros, che è tutto tranne un rivoluzionario.

Senatore del partito centrista Mdb, ha iniziato la carriera come consigliere di Collor de Mello nelle prime elezioni dopo la dittatura militare – contro Lula da Silva. Poi ha rotto con Collor (poco prima del suo impeachment per corruzione) e si è accasato con Fernando Henrique Cardoso, il grande privatizzatore del Brasile neoliberista – sempre contro Lula. E se nel 2002 appoggia un Lula già eletto, nel 2016 appoggia invece l’impeachment-golpe contro la vice-Lula, Dilma Rousseff (a proposito: anche se super-censurato, Lula spera nell’impeachment).

È uno che prima della politica viveva sul divano di un amico e il cui unico bene era un vecchio fusca, cioè un maggiolino Volkswagen, e ora è un milionario proprietario di fazendas. Insomma, uno dalle traiettorie complicate. Eppure spara a palle incatenate contro il governo. Perché Bolsonaro è in crisi nera, ma il bolsonarismo molto meno.

«Finirò arrestato, ammazzato o rieletto», profetizzava O Capitão qualche tempo fa. L’ultima possibilità va riducendosi.